«Yolo economy»: i giovani e il lavoro nomade. E il coraggio di cambiare

di Paolo Riva

La pandemia ha costretto a ripensare l’equilibro tra aspetti professionali e personali per il 58 % dei lavoratori. Cresce la «Yolo economy» (You Only Live Once) grazie alle opportunità del digitale e delle attività da remoto

«Si vive una volta sola, questo è il motto», cantava nel 2011 il rapper Drake rendendo famoso l’acronimo Yolo. Dieci anni e una pandemia dopo, questa sigla è tornata di attualità, non tanto per celebrare la vita spericolata cui inneggiava Drake quanto per descrivere una delle tendenze che sembrano segnare l’attuale mercato del lavoro. E non solo quello. Yolo sta per You Only Live Once, che in inglese vuol dire appunto «si vive una volta sola». Nell’aprile 2021, sulle pagine del New York Times, il giornalista Kevin Roose parla per la prima volta di Yolo economy, spiegando che «per un numero crescente di persone che dispongono di riserve economiche e di competenze molto richieste, il timore e l’ansia dell’anno scorso stanno lasciando il posto a un nuovo tipo di coraggio professionale».

Il giornalista osserva che, soprattutto in certi settori, un numero crescente di lavoratori si licenzia, cambia occupazione e città, inizia a viaggiare, oppure dà più spazio alla famiglia, agli amici e al tempo libero, dandone meno al lavoro e alla carriera. «Per molti di coloro che possono permetterselo – scrive ancora Roose – l’avventura è nell’aria». Poi, cosa avventura significhi esattamente, dipende da persona a persona, ma quel che sembra chiaro è che la pandemia ha costretto i lavoratori «a ripensare l’equilibrio tra lavoro e vita privata». Secondo un sondaggio della società di consulenza Bain & Company, lo pensa il 58 per cento dei lavoratori delle dieci principali economie mondiali. «La pandemia ha messo in discussione tutte le strutture stabili», ragiona Ivana Pais, docente di sociologia economica alla Cattolica di Milano.

«Dopo che la pandemia ci ha costretti a confrontarci con la morte,tutto viene visto da un’altra angolatura», ragiona. «Fino ad ora, abbiamo costruito la nostra vita intorno al lavoro. Adesso invece possiamo adattare il lavoro al nostro stile di vita. Oggi le persone ambiscono a libertà e felicità», aggiunge Giovanni Filippi, segretario dell’Associazione Italiana Nomadi Digitali, costituitasi nel luglio dello scorso anno. Le nuove opportunità offerte dal digitale sono un elemento fondamentale della Yolo economy. In particolare, la possibilità di lavorare da remoto, sperimentata a forza durante i primi lockdown e quindi diventata molto più diffusa che in passato, è un aspetto cruciale. Secondo una ricerca di Microsoft, «le offerte di lavoro da remoto su LinkedIn (un social network professionale, di proprietà della stessa Microsoft, ndr) sono cresciute di oltre cinque volte tra marzo e dicembre 2020».

Slegati dal luogo

«Il lavoro – commenta Filippi – è una cosa che si fa, non un luogo dove vai. È slegato dal posto geografico». Di conseguenza, diventa possibile spostarsi: viaggiare lavorando o lavorare viaggiando, a seconda dei punti di vista. I dati raccolti da Microsoft in trentuno Paesi del mondo sembrano confermarlo: «Il 46 per cento dei lavoratori da remoto sta pianificando di trasferirsi in una nuova sede nel prossimo anno proprio perché ora può lavorare a distanza». Cercare «avventura» nel nome della Yolo economy, quindi, può voler dire mollare il lavoro, ma anche trovarne uno nuovo, da dipendente o da libero professionista, più adatto alle proprie esigenze. In tal senso, il digitale apre frontiere nuove, enormi rispetto al passato. Che però riguardano pur sempre una nicchia di lavoratori.

«Il lavoro da remoto riguarda una componente ristretta della forza lavoro italiana. Le stime dicono tra il venti e il trenta per cento», chiarisce Francesco Armillei, assistente di ricerca alla London School of Economics. Anche per questo, a suo parere, nei dati relativi al mercato del lavoro del nostro Paese ancora non si trovano conferme della Yolo economy. «Il tasso di occupazione – riprende Armillei – è leggermente superiore ai livelli pre-pandemia in tutte le fasce d’età, giovani compresi». La tendenza, al momento, non è visibile o numericamente significativa. «I dati – conferma Pais – sono ancora poco robusti. Ma l’ipotesi Yolo economy consente di fare riflessioni interessanti. La prima è che lo scambio sociale è saltato. Era già successo, ma con la pandemia l’abbiamo capito». Secondo la sociologia, in passato, molti lavoratori sacrificavano la vita privata in cambio di riconoscimenti economici e sociali; questo, oggi, non avviene più. «Perché – aggiunge Pais – rinunciare alla libertà per stare in ufficio se non ottengo nulla? Tanto vale partire».

Pro e contro

Del resto, si vive una volta sola. Deve essere quello che ha pensato la trentunenne designer Piera Mattioli che, durante la pandemia, ha lasciato un contratto stabile nei Paesi Bassi per diventare freelance e nomade digitale. «Essere una nomade digitale, per me, significa poter scegliere dove vivere e con chi lavorare, completamente da remoto», spiega. Negli ultimi mesi è stata in Sicilia, a Matera, in Argentina e in Portogallo. «Il principale pro di questa scelta è viaggiare, il contro è che a volte si è stanchi o soli, ma siamo persone estremamente fortunate e dobbiamo riconoscerlo», riflette. Un’idea come la Yolo economy può far pensare più a scelte individuali e individualistiche che a discorsi collettivi e di comunità. E spesso è così. Non sempre però. Alcuni nomadi digitali, per esempio, cercano di conoscere le comunità in cui arrivano. «A Matera sono stata ospite di Casa Netural, che promuove uno scambio coi locali: ho fatto un murales con gli abitanti», riprende Mattioli, che ora sta trascorrendo qualche giorno nel suo Paese di origine in Abruzzo e poi ripartirà alla volta dei Paesi Bassi.

Mercato disuguale

Vite come la sua sembrano distanti anni luce dall’esperienza quotidiana di tantissimi lavoratori, anche giovani, che fanno i conti con un mercato del lavoro sempre più disuguale. Altro che Yolo. Eppure, secondo la sociologa Pais, queste storie fanno intravvedere un tema che riguarda tutti: «C’è una riflessione in corso rispetto allo spazio e al tempo che il lavoro ha nella nostra vita quotidiana. È un bel momento, se lo prendiamo sul serio».

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27 giugno 2022 (modifica il 28 giugno 2022 | 00:59)

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