Ucraina, alle terme di Truskavets, porto degli sfollati
Oksana da circa un mese coordina le donazioni per centinaia di rifugiati dell’est dell’Ucraina.
Coordina la distribuzione di pile e pile di magliette, camicie e maglioni. Di decine e decine di passeggini e scarpette per i più piccoli. Siamo a Truskavets, la ‘Montecatini Terme’ dell’Ucraina che, dall’inizio della guerra, si è convertita, lontano dei riflettori, nel porto sicuro per donne e bambini in fuga dalle città martoriate dell’Est.
Truskavets, fino a poche ore prima della fatidica notte tra il 23 e 24 febbraio, era, molto semplicemente, il più famoso centro termale del Paese. Le sue acque benefiche venivano bevute da centinaia di visitatori, arrivati da ogni parte dell’Ucraina.
A Truskavets ci sono grandi alberghi e centri messaggi, pizzerie italiane e lunghe passeggiate nel parco. A Truskavets, o almeno in tanti suoi ristoranti, ancora adesso capita di ascoltare cantanti italiani divenuti star a queste latitudini, come Pupo, i Ricchi e Poveri o Toto Cutugno. Ma la città in meno di un mese si è trasformata in uno dei luoghi più accoglienti per gli sfollati ucraini. Si tratta di rifugiati interni che non hanno la forza, soprattutto economica, di oltrepassare il confine. Che nell’Unione Europa non hanno alcun appiglio. E allora decidono di stanziarsi a Truskavets, prendendo uno dei due treni che, quotidianamente, collegano Dnipro e Kharkiv a questa cittadina ai piedi dei Carpazi Orientali.
In un’enorme sala circolare di un grigio edificio sovietico, una lunga fila di donne attende, in maniera composta, il proprio turno. All’interno della sala i volontari cercano di fare ordine tra le migliaia di donazioni arrivate dall’Ucraina e dall’estero. “Qui giungono aiuti dalla Francia, dalla Polonia, dalla Romania, e certamente sto dimenticando qualche Paese”, spiega Oksana. Coordina una ventina di volontari, in parte sono rifugiati che danno una mano a chi ha avuto un destino molto simile. Come Timur, che viene da Kharkiv e che si è fermato a Truskavets, lasciando che il fratello e la sua famiglia arrivassero in Slovacchia. “La mia casa a Kharkiv non è stata distrutta ma vivere lì è impossibile. Ho perso tanti amici, e in città non c’è praticamente più nulla”, racconta Timur dicendosi “pronto”, se sarà necessario, ad arruolarsi e combattere.
A Truskavets arrivano dai duecento ai seicento sfollati al giorno. Recentemente i flussi sono diminuiti ma l’emergenza non è mica finita. A Villa Goplana, uno degli edifici più belli della città, costruito negli anni Venti del Novecento in stile Zakopane (che prende il nome dagli edifici in legno della stazione sciistica polacca) un gruppo di donne taglia e cuce vestiti. “Abbiamo tante donazioni ma sappiamo che la guerra sarà lunga”, sospira Oksana. I rifugiati sono ospitati in tre delle scuole cittadine o in strutture, anche private, situate nei dintorni di Truskavets, per la quale, tra l’altro, si è mobilitata anche la città gemella di Chianciano Terme.
Per arrivare in città da Leopoli va percorsa la statale T1416. Lungo la strada, all’altezza di Medenyci, ad un certo punto il traffico rallenta. Ai lati, dal nulla, compaiono decine e decine di persone inginocchiate. Poco più avanti ecco tre macchine nere sulle quali sventolano la bandiera nazionale giallo-blu e quella rosso-nera dell’Esercito insurrezionale ucraino, presa in prestito dai battaglioni di difesa territoriale. Dentro una di queste auto giace un caduto ucraino.
E’ un paramilitare, e viene celebrato con tutti gli onori. Il traffico si ferma, la strada viene invasa dalle persone. Due preti ortodossi rendono gli onori. Non ci sono applausi. Non ci sono lacrime. “E’ morto per la patria, è morto per l’Ucraina”.
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