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Tra le ceneri del Lugansk. E nel rifugio degli ucraini spuntano i mortai italiani

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25 Maggio 2022 – 06:00




“Venite, venite vi mostro dove stavano gli ucraini”. Il ragazzotto con la divisa dei miliziani di Lugansk s’aggira tra le rovine e indica, una ad una, le macerie delle case sequestrate dai militari di Kiev







Tra le ceneri del Lugansk. E nel rifugio degli ucraini spuntano i mortai italiani






«Venite, venite vi mostro dove stavano gli ucraini». Il ragazzotto con la divisa dei miliziani di Lugansk s’aggira tra le rovine e indica, una ad una, le macerie delle case sequestrate dai militari di Kiev. Fra tutte non ce n’è una risparmiata dalle migliaia di granate cadute durante gli scontri che hanno preceduto la conquista russa. In una l’accesso al seminterrato è ancora agibile. Ma sui primi gradini di quel buco nero è rimasto un aggeggio giallo, a forma di ferro di cavallo, assai sospetto. Visto da lontano potrebbe essere l’innesco di una trappola esplosiva posizionata prima della ritirata. Il ragazzotto con la divisa indipendentista è molto meno preoccupato. Mentre il gruppo di giornalisti si allontana di qualche passo lui raccoglie lo strano affare e lo mostra. «Non è roba ucraina, è roba della Nato, roba vostra», sghignazza passandolo al sottoscritto.

Ha ragione. La scritta «Brandt 120 mm» accende una lampadina. E la parola «Lotto BPD 2/3/1993» riporta tutto alla memoria. I Brandt Thompson sono i mortai da 120 mm in dotazione all’esercito italiano. Chi scrive li ha visti all’opera in Afghanistan nel 2009. Ma i Brandt Thompson sono anche i mortai che il nostro governo ha fornito a Kiev dopo l’attacco di Mosca. Dunque quei mortai e le loro munizioni devono esser stati usati dalle unità ucraine responsabili della difesa di Novatoskaya. Il secondo indizio è solo a qualche metro di distanza, appoggiato sul lato della scalinata che scende in cantina. È un contenitore cilindrico, verde militare grande una volta e mezzo un barattolo di birra. Sul coperchio è stampata in italiano una scritta gialla assai eloquente. «Custodia per cariche aggiuntive bomba leggera da 120 – MPS 1993».

Ora tutto quadra. Il cilindro è il contenitore di una spoletta per le bombe da mortaio di provenienza italiana. La discesa nel seminterrato è dunque obbligata. Nell’antro buio tutto fa pensare ad una fuga precipitosa. I soldati ucraini vissuti qui per due mesi se ne sono andati abbandonando coperte, cuscini e vestiti. Ma hanno lasciato qualche traccia di se. Sui muri del seminterrato restano incise tre grandi svastiche. Un segnale della presenza, in questo scantinato, di qualche militare dell’estrema destra ucraina contigua alle posizioni del Reggimento Azov. Poi dalle coperte e dagli infissi abbandonati saltano fuori tre casse di legno ancora sigillate. La scritta «Bomba leggera con spoletta LCPB -1- Rp 13-03» è, anche in questo caso, molto esplicita. E altrettanto almeno riguardo alle idee di chi l’aveva in dotazione, è la svastica disegnata a pennarello nero su un’altra cassa abbandonata nello scantinato.

I mortai italiani non sono comunque bastati a difendere questo villaggio situato sull’asse dell’offensiva russa che sta raggiungendo la periferia di Severodonetsk e punta, più a ovest, verso Lisichansk. La battaglia per Novatoskaya, iniziata a marzo è conclusasi a metà maggio, è stata terribile. Per capirlo basta guardarsi attorno. In tutto il paese non è rimasta in piedi una sola casa. E tra le spettrali rovine torme di cani affamati si contendono i resti dei civili e dei soldati ucraini abbandonati nelle strade. Una bastardina e i suoi cuccioli si accaniscono su un mezzobusto da cui sono scomparse le gambe e biancheggiano le costole. Più in là un altro branco randagio si contende il cadavere decapitato di un militare di Kiev.

In questa distesa di orrori non sembra rimasto spazio per gli umani. Il migliaio di abitanti del villaggio è letteralmente scomparso. Dalle macerie abbandonate non proviene una sola voce aldilà di quelle dei miliziani indipendentisti rimasti a circondarne il perimetro. L’unico suono, oltre al latrare dei cani e al fischio del vento, è il fragore delle granate di mortaio e dei missili Grad che continuano a cadere sulle posizioni russe distanti un chilometro o poco più. Per trovare i pochi sopravvissuti di questo inferno bisogna muovere verso la parte nord-occidentale del villaggio. Lì i resti di tre famiglie sono radunati intorno ad un tavolo imbandito sotto la tettoia di una casa. «Siamo una decina in tutto e siamo tutto quel che resta degli oltre novecento abitanti di Novatoskaya, gli altri – spiega Irina 60 anni – sono fuggiti a metà marzo. Io non speravo neanche di sopravvivere sono rimasta in cantina per 62 giorni. Ed ero convinta che quella sarebbe stata la mia tomba. Ora invece spero nella pace. E in una nuova vita».




























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