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The Sandman, la nuova serie tv Netflix traspone in modo fedele il capolavoro a fumetti

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Morfeo, signore dei Sogni, è uno dei sette Eterni (in originale ‘Endless’, senza fine), personificazioni dei concetti che animano la percezione umana. Tra i suoi fratelli e le sue sorelle, è uno dei più attenti a rispettare l’etica che il proprio ruolo gli impone, e di conseguenza uno dei più benevoli nei confronti dei mortali. Nel 1916 però, durante un rituale esoterico, viene catturato da un occultista rivale di Aleister Crowley, e rimane prigioniero della famiglia di questi per oltre un secolo. Riuscito finalmente a liberarsi apprende che la sua assenza ha generato il caos nel mondo dei sogni. Con l’aiuto dei pochi rimasti fedeli si pone perciò l’obiettivo di riportare l’ordine nel suo regno, e di dare la caccia al Corinzio, un incubo ribelle e omicida sfuggito al suo controllo.

Dopo circa vent’anni di progetti naufragati, Netflix riesce nel compito di trasporre in live action il capolavoro a fumetti – edito tra il 1989 e il 1996 da DC Comics/Vertigo – scritto da Neil Gaiman e disegnato, tra gli altri, da Sam Kieth, Mike Dringenberg e Jill Thompson, con copertine di Dave McKean. Prodotto da Allan Heinberg insieme allo stesso Gaiman e a David Goyer, la serie adatta i primi due volumi dell’opera (‘Preludi e Notturni’ e ‘Casa di bambola’) e rimane il più possibile fedele al materiale originale sia nella trama che nei dialoghi. Ogni licenza presa, soprattutto nella scelta degli interpreti, è ben ripagata dai lodevoli sforzi del cast. Tom Sturridge è un Morfeo convincente, in particolare nei primi episodi ogni sua posa e microespressione è un rispettoso tributo alla versione a fumetti del personaggio che interpreta. Spiccano soprattutto l’inquietante John Dee/Doctor Destiny di David Thewlis e le interpretazioni di Vivienne Acheampong e del grande Stephen Fry nei panni di Lucienne e Gilbert/Fiddler’s Green, i più fidati alleati del protagonista.

Posto che il confronto tra medium differenti si rivela spesso un esercizio sterile, data la complessità di sovrapposizione tra i rispettivi registri grafici e narrativi, il risultato è, probabilmente, il miglior sceneggiato televisivo realizzabile con i mezzi a disposizione, alle prese con l’arduo compito di adattare un capolavoro della letteratura disegnata. Se il Sandman a fumetti infatti ha ridefinito potenzialità e ambizioni letterarie del genere, il Sandman in carne e ossa non va oltre la fruibilità di una più che godibile serie tv, in cui il respiro della scrittura trascende la resa formale, di ottimo livello per il piccolo schermo ma, in alcuni episodi, fin troppo “televisiva” per un’opera in cui il confine tra piano onirico e veglia è talmente sottile da risultare impercettibile.

Il mondo dei sogni del Sandman di Netflix è tendenzialmente rassicurante, opportunamente illuminato, più simile all’immaginario di Harry Potter che a quello, crepuscolare, della pagina stampata. Lo stesso vale per ambientazioni e scenografie i cui orizzonti cosmo-antologici, visionari ed evocativi nelle intenzioni, risultano vagamente compressi, sacrificati. Lo sforzo produttivo è insomma generoso ma cauto nelle sperimentazioni e nelle scelte registiche. Questa circostanza si rivela comunque un punto di forza in episodi come il quinto – probabilmente il migliore – intitolato ‘24/7’, in cui la prospettiva claustrofobica di un diner esalta la forza narrativa della trama.

Al netto di ciò, il prodotto finale è coerente e accattivante, rifugge le trappole dell’autocompiacimento e imposta un buon livello di aspettativa per le stagioni a venire.

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Peter Gomez

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