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Se ci guardano così è un po’ per merito nostro

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Anche se non si sa con esattezza quando e dove i cani cominciarono a essere addomesticati dagli esseri umani, la maggior parte degli scienziati concorda sul fatto che le prime differenze a livello genetico rispetto ai lupi, gli animali da cui discendono, sono da collocarsi attorno a 33mila anni fa. Il fatto che oggi i cani si sappiano conquistare cibo o carezze con un solo sguardo rivolto ai propri padroni non è invece un caso: un recente studio indica che questi animali abbiano cominciato a sviluppare muscoli facciali in un modo da comunicare meglio con gli esseri umani e piacergli di più, un processo su cui la domesticazione avrebbe avuto un ruolo importante.

La ricerca è stata condotta da Anne Burrows, professoressa di Antropologia biologica alla Duquesne University di Pittsburgh (Pennsylvania) ed è stata presentata lo scorso 5 aprile durante un incontro della American Association for Anatomy a Philadelphia. Si basa in particolare sullo studio anatomico dei muscoli che permettono agli animali – umani compresi – di cambiare le espressioni del viso, cioè i muscoli mimici facciali.

Per semplificare, negli umani la maggior parte di questi muscoli è caratterizzata da fibre che si contraggono in maniera molto rapida e agevole (e si affaticano altrettanto in fretta), permettendo di fare un sorriso spontaneo in risposta a un complimento oppure un’alzata di sopracciglio per reagire a qualcosa che lascia perplessi; esistono poi muscoli mimici con fibre che si contraggono in maniera più lenta, che vengono invece impiegati per azioni prolungate nel tempo. Sono sulle fibre che si contraggono in maniera rapida presenti nei muscoli facciali dei lupi e dei cani addomesticati che si sono concentrate le ricerche di Burrows e della sua collega Kailey Madisen Omstead, responsabile del laboratorio di Ricerca biologica della sua stessa università.

In base ai risultati dello studio, la percentuale di fibre di questo tipo riscontrate nei muscoli facciali dei cani varia tra il 66 e il 95 per cento, mentre nei lupi si ferma al 25 per cento. Al contrario, nei muscoli facciali dei lupi è stata trovata una percentuale molto più alta di fibre del secondo tipo: il 29 per cento rispetto al 10 per cento circa osservato nei cani. Dal punto di vista dell’evoluzione, le ricercatrici ipotizzano che la presenza di fibre che si contraggono più lentamente possa aver agevolato i lupi in movimenti lunghi e controllati, come gli ululati; nei cani invece quelle che si contraggono più velocemente potrebbero essersi sviluppate per attirare l’attenzione degli umani attraverso l’espressività degli occhi o con abbai più brevi.

L’ipotesi delle ricercatrici è che durante il processo di domesticazione gli umani abbiano in una certa misura scelto e allevato i cani basandosi su espressioni facciali che trovavano più simili alle loro, e che al contempo le fibre dei muscoli dei cani si siano evolute in modo da migliorare la comunicazione degli animali con i padroni.

Come aveva già evidenziato un altro studio del 2019 condotto sempre da Burrows, con l’evoluzione i cani hanno peraltro sviluppato un particolare muscolo che permette loro di sollevare l’arcata sopraccigliare, facendo sembrare i loro occhi più grandi e facendoli per così dire piacere di più agli umani: questa espressione ricorda quella delle persone quando sono tristi, e stimola pertanto i padroni a volersi prendere cura di loro, ha osservato Omstead. Un altro muscolo sviluppato sempre nei cani e presente anche nei lupi, ma molto meno utilizzato, consente invece di allungare le estremità esterne dei loro occhi verso le orecchie, producendo un’espressione che agli umani può ricordare quella degli occhi “che sorridono”.

«I cani sono davvero unici rispetto a tutti gli altri animali addomesticati perché il loro legame con gli umani viene dimostrato attraverso lo sguardo reciproco, qualcosa che non viene osservato in altri mammiferi addomesticati, come cavalli o gatti», ha commentato Burrows. I risultati dello studio indicano che gli umani potrebbero aver «deliberatamente o meno» allevato cani che avevano espressioni facciali più simili alle proprie, ha aggiunto Omstead: «Sappiamo anche che a livello inconscio stiamo ancora cercando queste caratteristiche nei cani», conclude.

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