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Salvini e Meloni firmano la tregua sul palco di Verona. Restano i fronti caldi tra la Lega e Fdi: la partita veneta, quella di Parma e Messina

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Dopo giorni di alta tensione si sono abbracciati più volte sul palco di Verona: sorrisoni e pacche sulle spalle. Sui social però le rispettive pagine hanno evitato di coprire l’intervento dell’altro: quando Giorgia Meloni ha finito di parlare ed è iniziato l’intervento di Matteo Salvini, dal profilo facebook della leader di Fratelli d’Italia si è interrotta la diretta. Viceversa il video della pagina del leader della Lega è iniziato solo quando Salvini ha cominciato a parlare e la Meloni aveva appena finito. Come dire: baci e abbracci ma i rapporti nel centrodestra restano tesi. Anche se dal palco di Verona hanno inaugurato una tregua. “Domani voglio leggere i titoli e le polemiche sui giornali, noi siamo qua e belli come il sole”, dice Salvini. “Poiché avevano detto che saremmo stati come Romeo e Giulietta, garantisco che non faremo la stessa fine”, aggiunge Meloni.

“Non faremo la fine di Giulietta e Romeo” – D’altra parte che non si potesse continuare con le polemiche dei giorni scorsi, a tre giorni dal voto, era chiaro a tutti. E infatti entrambi sono tornati a parlare di unità. Il centrodestra diviso alle prossime politiche? Ma neanche per idea. “Mi rifiuto di pensare a corse separate, divise e litigiose. Uniti si risolvono più velocemente i problemi e io non ho tempo da perdere in beghe interne e litigi”, assicura Salvini. Una posizione che nelle sue varie sfumature ha ripetuto martedì, mercoledì e ancora giovedì. Dall’altra parte, Meloni ha replicato ogni volta spiegando che “nella stragrande maggioranza dei comuni che andranno al voto stiamo andando insieme, quindi lavoriamo tutti per la vittoria del centrodestra oggi e anche alle prossime elezioni politiche“. Ieri, però, la leader di Fratelli d’Italia si era lasciata sfuggire un “si spera“: due paroline lasciate lì in sospeso che sono la prova più evidente di come nel centrodestra la tensione resti alta. E non è solo una questione di città da strappare al centrosinistra o da tenere per i prossimi cinque anni.

Il sorpasso – Ancora una volta, infatti, il problema a destra è di concorrenza interna. Il leader che rischia di più dal voto di domenica è sicuramente quello della Lega. Intanto per l’alto rischio flop del referendum sulla giustizia, sul quale ha messo la faccia come promotore – insieme ai radicali – salvo poi svanire in campagna elettorale, quando si è capito che l’obiettivo del quorum è lontanissimo da raggiungere. Poi c’è il problema della leadership di coalizione. Da quando ha deciso di rimanere all’opposizione del governo di Mario Draghi, infatti, Fratelli d’Italia ha messo il turbo nei sondaggi, attestandosi quasi sempre come primo partito del Paese e relegando la Lega al ruolo di seconda forza del centrodestra. Un sorpasso che era già stato certificato alle amministrative dell’ottobre scorso, quando la Lega era stata superata da Fdi in quasi tutte le città più importanti al voto.

Il centrodestra che non c’è – Sarà che ora teme di vivere una scena simile a quella dell’autunno, fatto sta che è stato proprio nei giorni scorsi Salvini a lanciare sospetti nei confronti degli alleati: l’accusa a Meloni a di mettere a rischio la vittoria della coalizione nei comuni in cui ha deciso di andare in solitaria. Come a Parma, città citata esplicitamente da Salvini. Ma pure a Catanzaro, dove Fdi corre in solitaria. Sul fronte opposto Meloni ha ricordato come in altre realtà, per esempio Messina, sia stata la Lega ad appoggiare candidati diversi da quelli sostenuti dal centrodestra. Il risultato è stato un botta e risposta andato avanti per giorni. E infatti a un certo punto i due leader hanno cercato di premere sul pedale del freno. La durata della tregua è probabilmente legata all’esito della competizione elettorale. E nel frattempo ha prodotto il primo e unico comizio in comune: Salvini e Meloni, infatti, si sono trovati a Verona per sostenere il bis di Federico Sboarina, uomo di Fdi al quale i leghisti hanno offerto il loro appoggio.

Il caso Verona – Il palco degli abbracci, del “non finiremo come Giulietta e Romeo”, ricorda il selfie alla vigilia delle comunali di ottobre, pure quelle animate da screzi e rancori. Sarà per questo che Meloni prova a garantire: “Prove di pace con Salvini? Non abbiamo bisogno di prove di pace. Queste sono cose che appassionano voi giornalisti. La verità è che nelle scelte fondamentali poi la coalizione si ritrova naturalmente insieme, perché siamo d’accordo sulle questioni fondamentali, perché stiamo insieme per compatibilità e non per costrizione o interesse o per impedire agli altri di vincere”. Sul palco di Verona, però, la coalizione che si ritrova naturalmente insieme è comunque monca: nella città scaligera, infatti, Forza Italia ha preferito puntare sull’ex primo cittadino Flavio Tosi. Antonio Tajani dovrebbe comparire venerdì a Gorizia insieme a Meloni per spignere l’uscente Rodolfo Ziberna. In Friuli, però, Salvini non ci sarà: chiuderà la campagna in Piemonte e al suo posto andrà il governatore Massimiliano Fedriga. Il risultato è che al momento non c’è alcun evento pubblico con tutti i tre leader della coalizione sullo stesso palco. Non esattamente uno spot per l’unità di uno schieramento che si candida a governare il Paese dal 2023.

La questione veneta – E’ in questo contesto di dispetti e guerre intestine che Salvini è andato a Verona a spingere Sboarina, che è un uomo di Fratelli d’Italia. In caso di riconferma, dunque, a vincere sarebbe un candidato di Meloni. Per trionfare con un suo uomo, invece, Salvini dovrebbe scippare Padova al centrosinistra: ipotesi che al momento i sondaggi considerano improbabile. Anche perché il candidato scelto dall’ex ministro dell’Interno è Francesco Peghin, un imprenditore che si presenta come “civico” e che per questo motivo ha causato parecchi maldipancia interni al Carroccio: sembra che in Veneto i vertici del partito – compreso Luca Zaia – avrebbero preferito un leghista doc. In pratica se Meloni dovesse vincere a Verona e Salvini dovesse perdere a Padova, la leadership di coalizione inizierebbe seriamente a pendere verso Fdi persino in una regione storicamente fedele al Sole delle Alpi: per l’ex ministro dell’Interno sarebbe una botta clamorosa.

Il nodo di Parma – Parallela alla questione veneta c’è poi quella emiliana. Nei giorni scorsi Salvini ci ha tenuto a ricordare che a Parma Fdi corre da sola e in questo modo rischia di mandare a monte la vittoria della coalizione. Nella città ducale il Carroccio, insieme a Forza Italia, appoggia Pietro Vignali, l’ex sindaco che si era dimesso dopo essere finito sotto inchiesta nel 2011, aprendo di fatto la strada al primo storico successo del M5s. Vignali ha patteggiato due anni per peculato e corruzione ed è stato archiviato e riabilitato per il reato di assunzioni straordinarie. La riabilitazione è stata la carta che più di tutti lo ha aiutato a tornare in pista, come se niente fosse, ottenendo l’appoggio di Lega e Forza Italia. Vignali, però, è pure il sindaco che ha lasciato in rosso i conti del comune. Anche per questo motivo Fdi ha preferito sganciarsi dagli alleati e presentare Priamo Bocchi. Scelta che ha provocato la stizza di Salvini, pronto ad attaccare i meloniani nei giorni scorsi: “La scelta di Fdi di correre da sola anche contro il centrodestra probabilmente ci impedisce di vincere al primo turno“. Come dire: se la scelta di puntare su Vignali dovesse essere bocciata dai parmigiani, il capo della Lega ha già trovato i colpevoli. Una situazione simile a Parma – anche se molto più frammentata – si registra a Catanzaro dove Lega e Forza Italia appoggiano Valerio Donato, seppur senza i simboli ufficiali. I rumors lo indicano come il candidato più quotato tra i tre presentati dal centrodestra, ma in corsa c’è anche Wanda Ferro, donna di Fdi, già presidente della provincia e apprezzata componente della commissione Antimafia. A seguire il ragionamento di Salvini pure in Calabria, dunque, i voti della Meloni rischiano di sbarrare la strada alla vittoria del centrodestra.

Spaccati sullo Stretto – Agli attacchi del capo della Lega, però, Meloni ha replicato punto su punto, rinfacciando al leghista “una lettura strabica” e invitandolo a usare “prudenza” prima di rilasciare simili dichiarazioni. Poi ha rinfacciato a Salvini le sue stesse accuse: “La Lega a Messina va con il candidato di De Luca“, ha ricordato la leader di Fdi, citando il caso della città sullo Stretto. Se a Palermo il centrodestra è riuscito a convergere su Roberto Lagalla – l’uomo al quale Marcello Dell’Utri aveva dedicato il suo endorsement – è a Messina che si fanno i giochi per le regionali del prossimo autunno. Come spesso capita, infatti, la Sicilia riesce a complicare situazioni che partono già ingarbugliate. E dunque se Fratelli d’Italia vorrebbe ricandidare Nello Musumeci, Lega e Forza Italia fanno muro. E useranno le comunali per pesarsi. E’ in questo quadro complicato che il Carroccio ha deciso di sfilarsi dalla coalizione di centrodestra a Messina per puntare tutto su Federico Basile, ex direttore generale del Comune che ha il pregio di essere il candidato sindaco di Cateno De Luca. Il vulcanico sceriffo dello Stretto si è dimesso da primo cittadino in anticipo proprio per candidarsi governatore: secondo i sondaggi ha conservato un consenso fortissimo nella sua città. Talmente forte che potrebbe garantire a Basile l’elezione al primo turno. Ecco perché Salvini ha deciso di esporsi in prima persona a Messina, appoggiando un candidato diverso da quello del centrodestra. Se l’azzardo peloritano dovesse pagare, Salvini punta a giocare il ruolo di kingmaker per le fondamentali Regionali siciliane. Al contrario se la scelta della Lega di spaccare la coalizione dovesse regalare la città al candidato di Pd e M5s, il capo del Carroccio sarebbe esposto a polemiche infuocate. Le ennesime.

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