Quelli che stanno tornando in Ucraina
Secondo i dati diffusi giovedì dal Servizio di guardia dei confini ucraini e ripresi dalle Nazioni Unite, circa 30mila persone ogni giorno stanno attraversando i confini per rientrare in Ucraina. In totale quelli che sono rientrati dalla fine di febbraio ad oggi sono 870mila; ma mentre all’inizio erano soprattutto uomini giovani che volevano combattere, ora sta crescendo la percentuale di donne, bambini e persone anziane che tornano dopo essere scappati.
Le ragioni sono diverse. Da un lato il riposizionamento dell’esercito russo nella zona del Donbass, quindi nell’est dell’Ucraina, ha fatto sì che alcune zone, a nord e a ovest, ora siano considerate più sicure. Dall’altro le famiglie che sono scappate per prime lo hanno fatto pensando che la guerra sarebbe durata pochi giorni: le cose poi sono andate diversamente, ma queste persone non vogliono o non possono stabilirsi definitivamente in altri paesi.
In un’intervista pubblicata dal New York Times, un militare ucraino ha raccontato che solo nella zona di Leopoli – nell’ovest, una delle più sicure – ogni giorno per circa 18mila persone che escono dal paese ce ne sono 9mila che rientrano: ci sono camionisti che portano beni, ma ci sono anche molte famiglie che vogliono tornare a casa. Anche le autorità di confine polacche hanno detto che la tendenza è molto diversa da un mese fa e il numero di persone che attraversano il confine in un senso si sta avvicinando a quello delle persone che lo attraversano nell’altro. Mercoledì, per esempio, 24.700 persone sono entrate in Polonia e 20mila sono entrate in Ucraina: solo il 6 marzo ne erano uscite 142mila.
«È sicuramente una tendenza che inizia a esserci: chi vive nelle zone che si ritiene siano più sicure comincia a pensare al ritorno», ha commentato Angelica Villa, che si occupa di gestire l’accoglienza dei profughi nelle famiglie italiane per l’associazione Refugees Welcome: «Per quello che vediamo dal nostro osservatorio è una tendenza che riguarda soprattutto le donne senza figli, che hanno libertà maggiore e sono più disposte a correre rischi».
Refugees Welcome ha recentemente aiutato una donna di 40 anni che era arrivata in Italia da sola e che poi ha voluto ricongiungersi con la famiglia in Ucraina. «Abbiamo scoperto che si stanno organizzando carovane che partono da vari paesi e trasportano chi vuol rientrare in Ucraina», ha raccontato Villa. «Non sapevamo se fidarci, quindi alla fine [la donna] ha deciso di prendere un Flixbus verso Cracovia e poi da lì un altro Flixbus per arrivare al confine».
Anche tra i milioni di profughi interni al paese, quelli che nelle ultime settimane si erano spostati dalle regioni più a rischio verso zone più tranquille, c’è chi in questi giorni sta partendo per tornare a casa nonostante le autorità ucraine raccomandino di non farlo. La stazione principale di Leopoli è lo snodo centrale di tutti questi spostamenti: migliaia di persone passano di lì ogni giorno in treno o in pullman e ci sono gruppi di volontari che si occupano di dare cibo, vestiti e schede SIM per i telefoni a chi si mette in viaggio.
Tamara ha 39 anni, è arrivata in Italia dopo essere partita in macchina dall’Ucraina la prima settimana di marzo con due figli e la madre. È originaria di Donetsk, nel Donbass, e dice che dopo essere fuggita dalla guerra del 2014 per trasferirsi a Kiev ci ha messo 5 anni prima di arrendersi all’idea che non sarebbe più tornata a casa: «Capisco chi vuole tornare: non è una valutazione razionale, sono soprattutto mossi dal bisogno emotivo di ritrovare i posti che amano, anche se in molti casi sono stati distrutti».
Per ora Tamara non ha in programma di tornare in Ucraina: ha trovato una sistemazione in Germania, dove i figli vanno a scuola e lei riesce a lavorare un po’ per l’azienda per cui lavorava prima: «Ma non per tutti è così: ho sentito persone che vogliono tornare perché non hanno trovato una sistemazione o un lavoro nei paesi in cui sono fuggiti, che hanno finito i soldi, o che hanno lasciato in Ucraina i parenti e vogliono ricongiungersi con loro. C’è una specie di proverbio ucraino che dice “a casa anche i muri aiutano”, per dire quanto solo il fatto di essere a casa sia di conforto».
In alcuni paesi i profughi ucraini non se la passano bene: per esempio in Ungheria ne sono arrivati più di 400mila, ma il governo semi-autoritario di Viktor Orbán non ha previsto grandi aiuti per gestire la situazione di emergenza. Anche nei paesi dove la popolazione si è mobilitata di più e che prevedono per i profughi ucraini un’accoglienza migliore, per molti non è facile pensare a una sistemazione a lungo termine.
Olga (nome di fantasia), che dall’Ucraina è scappata in Romania, ha raccontato che una ragione che spinge le persone ucraine a tornare è che vivono male il fatto di ricevere continuamente beni dagli altri: «Ne sono grati ovviamente, ma non si sentono a loro agio».
Altri tornano in Ucraina perché alcune attività hanno riaperto e loro possono tornare a lavorare o a dare una mano: nei negozi e nelle aziende private, ma anche nelle istituzioni, nelle scuole e negli ospedali. Altri ancora vogliono recuperare beni o documenti che hanno lasciato indietro nella fretta di scappare o occupare le proprie case per evitare che vengano saccheggiate. Più in generale, la gran parte di quelli che hanno lasciato il paese non l’ha fatto con l’idea di trasferirsi altrove, ma in risposta a una situazione di emergenza, e ora vuole tornare.
C’è anche chi cambia idea: Alina (nome di fantasia) è tornata a Kiev per ricongiungersi col marito dopo essere stata ospite da alcuni parenti in Italia, ma ha deciso dopo pochi giorni di ripartire e lasciare di nuovo il suo paese. Ha raccontato che a Kiev aveva l’umore a terra, aveva perso l’appetito e aveva ricominciato a temere per la propria vita.