Quella chance che poteva trasformare il mondo




28 Maggio 2022 – 06:00




La kermesse nel 2002 segnò la fine della Guerra fredda con la stretta di mano tra Bush e Putin







Quella chance che poteva trasformare il mondo






Venti anni fa a Pratica di Mare Silvio Berlusconi chiuse il «tempio di Giano» della guerra fredda facendo stringere le mani del presidente Bush e di Vladimir Putin. Tecnicamente la guerra fredda era finita con il muro di Berlino e con la dissoluzione della vecchia Unione Sovietica, ma non per questo era stato chiuso il vaso dei sospetti e dei rancori che risalivano ai tempi della fine della Seconda guerra mondiale. Fu un grande incontro storico, alla luce del sole, durante il quale la Federazione russa, per quanto la cosa possa oggi sembrare impensabile e forse persino inventata, venne invitata nel consiglio della Nato, vale a dire nell’organizzazione dell’Alleanza atlantica da cui oggi la stessa Federazione russa si sente assediata e minacciata e per cui è anche disposta a entrare in guerra per impedire che quella stessa alleanza possa mettere i piedi in Ucraina, che è uno dei grandi stati emersi dalla fine dell’Unione sovietica.

Fu forse la più bella performance di Silvio Berlusconi che preparò, con una cura dettagliatissima e piena di pathos nonché di speranza, un incontro che avrebbe dovuto garantire non la supremazia dell’unica potenza vincitrice, ma l’epoca della pace per sempre. Era stato per Berlusconi un sogno lungamente carezzato perché tutta la sua gioventù era stata fortemente contraddistinta dagli umori della guerra fredda, quando il mondo era spaccato in due anche nei sentimenti e all’interno delle famiglie, e Berlusconi come tutti quelli della sua generazione aveva portato nella sua anima e nella sua memoria la pena di quella guerra, di quell’odio, di quel sospetto, dell’incubo nucleare che aleggiava sulle teste di tutti noi che eravamo abbastanza consapevoli da sapere ciò che stavamo rischiando e che tutto il mondo stava rischiando.

Quello che accade allora ci riporta con ansia e dolore e rabbia alla situazione di oggi, proprio perché di nuovo torniamo a temere allargamenti di guerre che possono arrivare all’uso delle armi atomiche o di altre armi di distruzione di massa, ma allora in quel bel giorno di maggio del 2002 sembrava davvero che la pace augustea fosse fatta e che il Cesare Augusto anfitrione di quella cerimonia fosse lui, il primo ministro italiano Silvio Berlusconi. L’idea era venuta al presidente italiano già nel 1994 al G7 di Napoli, quando Boris Yeltsin lo incantò con le sue maniere gioviali e festose che lasciavano presumere un totale cambio di umore e di prospettive. Poi Yeltsin lasciò il passo al giovane Putin che era a quei tempi un uomo incantevole: giovane, sportivo, occidentalizzato non per amore del consumismo, ma per quello che sembrava un grande amore per la libertà anche attraverso lo sport e la passione per la natura. Fu dunque un passo quasi naturale per Berlusconi immaginare che il discorso iniziato con Yeltsin potesse proseguire con questo giovane presidente che non veniva dalla politica ma dal Kgb, che malgrado quel che molti pensano non era soltanto un’agenzia di spionaggio, ma una istituzione fondamentale della vecchia Unione Sovietica, poi rimasta quasi senza testa dopo la dissoluzione di quella potenza. «Dobbiamo essere portatori di democrazia e libertà presso tutti i popoli» disse Berlusconi a Pratica di Mare. E sembrò davvero che il paradiso della pace e dell’armonia fosse a portata di mano. Erano del resto in molti, a quell’epoca, ad accordare una fiducia perfettamente proporzionata alla situazione a un Putin che era un quasi sconosciuto brillante leader che emergeva da una Russia in cerca di identità e di pace.

Da quel momento fu una lotta per il presidente di Forza Italia il più volte primo ministro italiano, riuscire a conciliare le asprezze della vita internazionale con il suo obiettivo di pace assoluta e garantita dai grandi della terra. Alcune imprese di Putin, che allarmarono Monti, furono considerate da Berlusconi delle richieste di essere preso sul serio e che l’intera Federazione russa volesse riacquistare un ruolo di prestigio simile a quello di cui aveva goduto l’unione sovietica. Ma Putin non era e non è un comunista, aveva restituito alla sua patria il diritto di praticare la religione, era un uomo moderno affacciato sul futuro e quindi il lavoro che Berlusconi seguitò a lungo a fare con il presidente russo, usando anche il suo charme e la sua sincera amicizia, diventò sempre più complesso è difficile. La Federazione russa chiedeva rispetto e autonomia e anche il riconoscimento di una sorta di diritto naturale a riavere i confini del grande impero degli zar. Su questo non sarebbe stato possibile trovare un accordo con le altre potenze, ma ciò a cui Berlusconi mirava fin da quei tempi era il mantenimento di un canale apertissimo, animato dalla sua gioiosa cordialità, dalla sua capacità di intendere e di prevedere le evoluzioni dei fatti attraverso la conoscenza diretta, umana e profonda, dei protagonisti della politica. Erano quelle le sue doti più personali e geniali da spendere nel campo della diplomazia e dei rapporti fra nazioni. Quello spirito visse a lungo e anche oggi è ricordato come un’occasione non persa, ma che potrebbe nelle condizioni adatte riproporsi per tornare a garantire la pace all’Europa e al mondo.




























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