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Putin, guerra all’Occidente: l’analisi di Antonio Scurati

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di ANTONIO SCURATI

L’11 maggio esce per Bompiani l’edizione rinnovata del saggio «Guerra». Pubblichiamo qui la prefazione inedita dell’autore con una riflessione sul conflitto in atto

Questo libro viene da lontano. Il suo argomento — la guerra — accompagna l’umanità fin dalle sue origini; il suo tema — le narrazioni della guerra in Occidente — risale a Omero; il suo svolgimento ha impegnato l’autore per almeno due decenni di studio e riflessione. In questo momento, proprio mentre scrivo queste poche righe di prefazione alla nuova e aumentata versione, un’ennesima, sconvolgente guerra si combatte in terra d’Europa. Impossibile inserirla, a caldo e alla buona, nella trattazione. Altrettanto impossibile ignorarla.

Nemmeno voglio fingere di non vedere che l’aggressione militare dell’esercito russo all’Ucraina sembrerebbe, a prima vista, smentire alcune delle tesi da me sostenute riguardo al racconto della guerra nella tradizione occidentale.


L’indagine comparativa sulle narrazioni dei conflitti armati dall’Iliade alle guerre del Golfo, da me condotta in questo libro, mi ha portato, infatti, a confrontarmi con una terribile verità, risaputa per millenni e poi dimenticata, o rimossa, soltanto alla metà del secolo scorso a seguito delle due guerre mondiali: la nostra civiltà trova nel mito della guerra eroica addirittura il proprio fondamento perché essa pensa il combattimento armato quale esperienza plenaria, accadimento fatidico, momento della verità. Non solo: la guerra è da sempre la materia narrativa per eccellenza perché in essa la nostra tradizione scorge un evento rivelatore della condizione umana. Detto in altre parole: per più di due millenni — germogliando dalla sua profonda radice greca e pagana ma non senza contrasto con la radice giudaico cristiana — la civiltà occidentale ha desiderato e cantato la «bellezza» della guerra eroica. Nel fenomeno estetico dello «splendore della gloria» l’Occidente ha visto balenare un valore interamente immanente alla sfera terrena, ha cercato la genesi di un senso pienamente umano della vita poiché in esso risiedeva l’unica possibilità di senso di un mondo perennemente in guerra e completamente ignoto a ogni promessa o speranza di redenzione ultraterrena. Dal caos sanguinoso della mischia letale gli uomini d’Occidente hanno sperato il senso di una esistenza altrimenti insensata.


Non a caso, infatti, la civiltà occidentale attribuisce alla guerra, pensata come duello su vasta scala, il potere di generare le forme della politica, i valori della società, la materia dell’arte, di decidere la sorte individuale e collettiva. Ne consegue che, in conformità all’archetipo eroico, che prescriveva al guerriero di distinguersi entro la mischia in un duello a singolar tenzone, poi eternato dal canto del poeta, l’Occidente per millenni pensa la battaglia come momento della verità in cui le controversie si decidono irrevocabilmente, le identità dei contendenti si definiscono reciprocamente e, soprattutto, la vicenda umana trova il proprio senso entrando a far parte di un racconto memorabile, trasmesso dai posteri di bocca in bocca per generazioni a venire. È dal rumore sordo della battaglia che l’Occidente omerico attende la propria rivelazione profana.

Qui s’incontra la seconda delle mie tesi che la guerra di Putin sembrerebbe smentire: gli uomini in Occidente combattono (e vivono) fedeli a come si aspettano che la loro battaglia (e vita) sarà narrata. Guerra e narrazione stabiliscono un legame d’origine, un nesso indissolubile attorno al criterio della visibilità. Stretto nel cerchio di un cosmo di tenebra, provenendo dal nulla oscuro e diretto al quasi-­nulla umbratile dell’Ade (perfino peggiore del primo), il guerriero trova nel mito, nel canto eternante del poeta, l’unica possibilità di sopravvivenza concessa dalla sua natura di morente. Per potersi eternare nel ricordo dei posteri, però, prima di morire, anzi, nello stesso istante della sua morte, il guerriero deve brillare; deve splendere, circonfuso da quella impareggiabile qualità della luce che solo lo splendore della gloria concede. A questo modo, la visibilità fornisce all’arte occidentale della guerra sia il criterio della sua rappresentazione, sia quello della sua motivazione, conduzione e legittimazione. L’ideologia guerriera occidentale, le sue strategie, perfino le sue tecniche, si sviluppano all’unisono con la promessa epica di una immortalità narrativa.

Anche quando, con la modernità, il paradigma omerico guerra/ visione si spezza — e questa è la mia terza tesi — non cessa di esercitare la propria autorità millenaria. La demistificazione del mito della guerra non cessa di appartenergli. Anche quando, dopo esser entrato in crisi con i grandi profeti letterari della modernità (io analizzo le opere di Shakespeare, Tasso, Ariosto, Cervantes, Stendhal), il paradigma guerra/visione s’infrange nell’età dei mass media elettronici, e del terrorismo mediatico, la sua sovversione, il suo ribaltamento, la sua ritorsione contro l’Occidente, pur lasciandoci attoniti di fronte a una apocalisse svuotata, oramai, di qualsiasi rivelazione, non smette, perversamente, di alimentare le retoriche del potere, di giustificare il ricorso alle armi, di illuderci riguardo alla promessa di una verità rivelata dalla tenebra se non dalla luce. Se fin dai tempi di Omero la guerra era sempre stata il «paradiso dello spettatore», noi contemporanei delle dirette televisive dai fronti di battaglia diventiamo telespettatori totali della guerra e, per questa via, spettatori delle nostre stesse vite.

Ecco che l’invasione russa dell’Ucraina di questi giorni sembra sconfessare non soltanto queste tesi ma anche l’esame dello sviluppo storico del paradigma guerra/visione che l’accompagna. Invadendo uno Stato sovrano sul suolo europeo senza alcuna giustificazione, ammassando truppe ai suoi confini, pianificando un brutale attacco territoriale per mezzo di divisioni corazzate e meccanizzate, bombardando crudelmente e vigliaccamente obbiettivi civili, calpestando sfacciatamente ogni diritto internazionale (e anche ogni diritto di guerra), Putin avrebbe — si sente dire spesso — «riportato indietro le lancette della storia». In più, il dittatore russo, a parte la totale censura interna, sembra non manifestare nessuna preoccupazione per la narrazione della sua guerra d’aggressione. Nessuna forma politica o giuridica, nessuna risoluzione dei conflitti, nessun valore, nessun racconto memorabile, nessun senso sembrerebbe manifestarsi all’orizzonte della guerra di Putin contro gli ucraini. Nessuna luce, soltanto tenebra.

È vero. Io credo che sia vero. Dal nostro angolo visuale è proprio così. Ma il punto è proprio questo: la storia di cui Putin porterebbe indietro le lancette non è la nostra storia. La guerra di Putin agli ucraini non rientra nelle narrazioni occidentali della guerra, nella loro evoluzione storica, ma nemmeno le contraddice per il semplice fatto che non appartiene a esse. La guerra di Putin — non quelle dei russi nella loro intera storia, sia chiaro, non la guerra di Tolstoj e nemmeno quella di Vasilij Grossman — ripropone l’inimicizia archetipica tra Oriente e Occidente, la loro contrapposizione anche nelle stesse forme della guerra. Putin e la sua guerra non sono l’Occidente, ne sono il nemico.

Detto ciò, ci resta da chiederci se, di fronte a questa offensiva mossa contro l’Occidente, l’Occidente non stia rispondendo con la riattivazione di alcuni archetipi della sua millenaria tradizione che il pacifismo novecentesco sperava di aver demolito una volta e per tutte. Ci resta da chiederci se noi occidentali d’Europa non abbiamo già cominciato ad aspettarci dalla tenebrosa guerra orientale il momento della verità in cui le controversie si risolvono irrevocabilmente, gli individui mostrano il proprio valore, le identità dei popoli si definiscono attraverso la lotta, i destini incerti di un continente si decidono in un momento fatidico e la vicenda umana trova ancora una volta il proprio senso entrando in un racconto sanguinoso e memorabile.

Ma di questo racconteranno i libri a venire.

L’incontro al Salone di Torino

Il libro di Antonio Scurati «Guerra. Il grande racconto delle armi da Omero ai giorni nostri» esce l’11 maggio per Bompiani (pp. 384, euro 20). È la versione accresciuta della prima edizione del 2003. Il 22 maggio verrà presentato dall’autore con Massimo Giannini al Salone di Torino (22 maggio, ore 16, Sala Rossa)

7 maggio 2022 (modifica il 7 maggio 2022 | 21:09)

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