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Perché gli scienziati come Peter Kalmus sono pronti a farsi arrestare per il clima

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Ha provato di tutto per persuadere i leader mondiali che bisogna agire contro il cambio climatico, ora non gli resta che farsi ammanettare. Peter Kalmus è uno degli oltre 1200 scienziati che si sono stancati di far sentire la loro voce soltanto attraverso il loro lavoro e sono perciò passati alla proteste attive, con iniziative mirate contro le aziende ritenute le maggiori responsabili del cambio climatico. Kalmus è un fisico di 47 anni e lavora alla Nasa, dove utilizza dati e modelli satellitari per studiare quanto rapidamente sta cambiando il clima sulla Terra, concentrandosi in particolare su scenari di perdita della biodiversità ed eventi meteo estremi.


 

Mercoledì scorso Kalmus, insieme ad altri tre scienziati, si è incatenato di fronte alla sede della JP Morgan Chase Bank di Los Angeles. La loro protesta era una delle dodici organizzate dal gruppo Scientist Rebellion in tutto il mondo, per chiedere di fermare l’uso di combustibili fossili, con manifestazioni che si sono tenute di fronte alle sedi di multinazionali e gruppi finanziari che non cambiano le loro politiche aziendali e contribuiscono così alla crescita delle emissioni.

Scientist Rebellion ha chiamato a raccolta i suoi attivisti mercoledì scorso per accendere i riflettori sull’ultimo capitolo del rapporto dell’Ipcc pubblicato il 4 aprile. A Madrid, i manifestanti hanno gettato vernice rossa sul palazzo del Parlamento spagnolo, ci sono state azioni non violente davanti ai ministeri dell’Ambiente di Quito in Ecuador, Copenhagen in Danimarca e proteste in oltre 25 Paesi tra cui Ruanda, Sierra Leone, Colombia, Malawi, Germania e Regno Unito, dove molti scienziati hanno rischiato l’arresto.

Si è manifestato anche in Italia, a Marghera sei scienziati si sono incatenati ai cancelli della raffineria Eni, mentre altri attivisti attaccavano poster. A Roma quattro attivisti con i camici bianchi si sono incatenati ai cancelli di accesso dell’Università La Sapienza per chiedere che il mondo accademico e le università prendano posizione di fronte all’avanzare dell’emergenza climatica. la polizia è intervenuta e, rotte le catene, li ha portati in caserma e denunciati per manifestazione non autorizzata. A Torino Scientist rebellion ha incollato l’ultimo report Ipcc sulle vetrate della Regione Piemonte, per protestare contro il voto della Giunta Regionale su un ordine del giorno che propone “centrali nucleari di ultima generazione, fissione nucleare, filiera dell’idrogeno, la costruzione di nuovi termovalorizzatori e l’aumento delle estrazioni nei giacimenti di gas nazionali”.

L’americano Peter Kalmus ha però finito per essere il volto di questi scienziati, sia perché lavora per un ente prestigioso come la Nasa, sia perché ha dichiarato: “Sono stato arrestato mentre facevo un atto di disobbedienza civile in un disperato tentativo di difendere i miei figli e proteggere il Pianeta che amo”. In un’intervista al sito Fast Company, lo scienziato ha spiegato:  “Ci ho pensato per anni e ho cercato di impegnarmi per un cambiamento culturale, ma ora non riesco a trovare altre soluzioni. Le petizioni non hanno funzionato, chiamare i miei rappresentanti politici non ha funzionato. Anche le marce, secondo me, non hanno funzionato. Penso che invece potrebbe funzionare mobilitare le persone all’interno del proprio posto di lavoro. Convincere la propria azienda a fare cambiamenti e dichiarazioni reali che non siano greenwashing potrebbe avere un certo impatto. Ma quel che potrebbe avere delle conseguenze notevoli è impegnarsi nella disobbedienza climatica, correre dei rischi e andare al di fuori delle norme sociali”.


Quanto accaduto mercoledì scorso, o meglio l’eco mediatica che ha avuto l’arresto di uno scienziato della Nasa, sembra dare ragione a Kalmus. Del resto, in un articolo a sua firma pubblicato dal britannico Guardian, l’attivista americano sottolinea che nel corso degli anni non è rimasto chiuso nel suo laboratorio e anzi ha cercato di far arrivare a più persone possibile il suo messaggio di “scienziato del clima terrorizzato dall’inazione della società”, come si definisce su Twitter. 


 

“Ho aderito alla Citizens’ Climate Lobby. Ho ridotto le mie emissioni del 90% e ho scritto un libro su come questo si è rivelato essere divertente, ricco di soddisfazioni e relazioni. Ho rinunciato a prendere l’aereo, ho aperto un sito web per incoraggiare gli altri e mi sono organizzato con i colleghi per fare pressione sull’American Geophysical Union per ridurre i voli accademici. Ho aiutato a organizzare Fridays For Future negli Stati Uniti. Ho co-fondato una popolare app per il clima e ho avviato la prima agenzia pubblicitaria per la Terra. Ho parlato ai raduni sul clima, alle riunioni del consiglio comunale, alle biblioteche locali e alle chiese. Ho scritto articolo dopo articolo, lettera aperta dopo lettera aperta. Ho rilasciato centinaia di interviste, sempre con sincerità, dati inconfutabili e la disponibilità a mostrare le mie debolezze. Ho incoraggiato e sostenuto innumerevoli attivisti del clima e giovani dietro le quinte. E tutto questo è avvenuto nel mio tempo libero e con un rischio non piccolo per la mia carriera scientifica”, ha scritto Peter Kalmus.

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Lo scienziato insomma non è stato zitto, come invece afferma la frase che apre il suo sito: “Il riscaldamento globale si sta verificando con una rapidità che mi lascia senza parole”. Ma parlare non basta, o non basta più, perché, conclude Kalmus, “è da tanto che noi scienziati del clima abbiamo cercato di avvisarvi su ciò che sta accadendo”.

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