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M5s, Di Battista candidato? A bloccarlo c’è un cavillo

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Stavolta nessun dissenso, nessuna voglia di fare altro, tanto meno il reporter d’assalto in giro per il mondo. No. Stavolta potrebbe essere un mero cavillo burocratico a tenere fuori Alessandro Di Battista dalla campagna elettorale. Una regola sui tempi di iscrizione che a Dibba – considerato da molti l’asso nella manica per dare un po’ di ossigeno a un Movimento che perde pezzi tra esponenti in fuga o non candidabili per via del secondo mandato – impedirebbe di  fatto la possibilità di rientrare n “squadra” alle prossime elezioni nel M5S. Ammesso che lo si voglia di nuovo in partita, perchè in molti sono convinti possa oscurare il leader Conte. Il cavillo? Per candidarsi è necessario essere iscritti alla piattaforma di Skyvote da almeno sei mesi. E Di Battista si è disiscritto dal M5S subito dopo esserne uscito, in dissenso con la decisione dei vertici, validata dalla Rete, di appoggiare il governo Draghi.



Di Battista è ancora in viaggio, si trova a Vladivostok in Russia, in queste ore. Almeno così a seguire i suoi spostamenti via social. Rientrerà in Italia i primi di agosto. Gli ex parlamentari a lui più vicini lo descrivono sereno, certo non così smanioso di tornare a sedere in Parlamento. Per poter ‘vidimare’ la sua candidatura servirebbe dunque una deroga, che passa anche in questo caso dall’ok del garante, Beppe Grillo.  Che quello della mancata iscrizione sia un problema per Di Battista lo conferma all’Adnkronos anche Lorenzo Borré, il legale da sempre a capo delle battaglie giuridiche contro i vertici del M5S: “è una regola che è stata adottata dal marzo 2018 a seguire – dice -. Conoscendo Di Battista, non di persona ma come personaggio, dubito fortemente che accetti una deroga in suo favore”. Ammesso che venga richiesta e che gli venga concessa. “Vista l’aria che tira – dice chi ha sentito Grillo nelle ultime ore – dubito fortemente che apra spiragli”.



Preoccupato per cavilli e futuro?. Tutt’altro. Dibba nell’ultimo post fa la ramanzina ai politici professionisti che “più che alle alle sorti del Paese e alla costruzione di politiche nuove, lungimiranti, anche, chiaramente, difficili da perseguire (i cambiamenti se sono veri necessitano tempo) pensano al proprio potere. Preferiscono non perdere treni piuttosto che dare la giusta direzione al Paese”.  Il post è lungo e fa le pulci a chi in questi giorni di campagna elettorale si professa Atlantista e europeista. “Lo chiamano senso di responsabilità ma è il solito, patetico, bacio alla pantofola del Presidente USA di turno – si legge nel post -. Contrariamente a quel che scrivono di me io non sono affatto anti-americano. Semplicemente non considero più da parecchi anni europeismo ed atlantismo concetti sovrapponibili. Oggi più NATO significa meno Europa. Ma se non si è liberi di ragionare, di parlare e, soprattutto si è schiavi del proprio carrierismo, tale concetto viene rigettato mentre si predispone la consueta fatwa mediatica verso tutti coloro che non si allineano al pensiero dominante. Oggi più che mai gli interessi USA (legittimi, le grandi potenze tendono ad essere sempre egemoniche) cozzano con quelli europei. La guerra in Ucraina (una guerra sempre più dimenticata) e la totale mancanza di una strategia di pace da parte europea lo dimostra chiaramente”..

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