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L’uomo che salvò l’Australia dallo sterco

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George Francis Bornemissza era adolescente quando iniziò a studiare i coleotteri che trovava nei boschi vicino alla casa dei suoi genitori a Baja, una città nell’Ungheria meridionale. Era da poco iniziata la Seconda guerra mondiale e difficilmente avrebbe immaginato che grazie alla sua passione un giorno avrebbe risolto un problema quanto mai singolare dall’altra parte del mondo: quello dell’Australia, afflitta da un accumulo senza precedenti di sterco causato dalla recente introduzione dei bovini nel suo territorio.

Completamente circondata dall’oceano, per moltissimo tempo l’Australia ebbe una storia a parte rispetto al resto del mondo, in termini di evoluzione e diffusione delle specie. Ancora oggi molti animali sono tipici (endemici) del continente australiano, come i koala e i canguri, ma dopo l’arrivo dei primi colonizzatori a partire dal XVIII secolo le cose cambiarono sensibilmente con l’introduzione di animali e piante dai paesi di provenienza degli europei.

In poco più di un secolo in Australia furono introdotte decine di specie: dai gatti ai cinghiali, passando per le volpi e i conigli, in alcuni casi con effetti disastrosi per gli animali della zona, spesso incapaci di resistere alla concorrenza dei nuovi arrivati. Tra questi c’erano anche i bovini, animali domesticati dagli esseri umani oltre centomila anni prima, e che erano stati introdotti in Australia in modo massiccio a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento, per la produzione di latte e carne, in un paese con territori sterminati da dedicare ai pascoli e che iniziava a essere molto più popolato di un tempo.

Una mostra bovina nell’autunno del 1934 a Perth, Australia (PNA Rota/Getty Images)

A differenza delle altre specie, i bovini non causarono particolari sconquassi negli ecosistemi, o almeno così sembrò nei primi decenni dopo la loro introduzione. Ad accorgersi che qualcosa non stesse andando per il verso giusto fu proprio Bornemissza, che ormai ventiseienne aveva lasciato l’Ungheria alla fine del 1950 per sfuggire al regime sovietico, stabilendosi in Australia.

Bornemissza era fresco di dottorato in zoologia e ottenne un impiego presso il dipartimento di Zoologia dell’Università dell’Australia Occidentale. Dopo qualche mese di lavoro, iniziò a notare la presenza di una grande quantità di torte di sterco prodotte dai bovini, ormai secche e sparpagliate in buona parte dei pascoli nei pressi di Wooroloo, una piccola città dove c’erano alcuni allevamenti. Era singolare che ci fossero così tanti escrementi, pensò, ricordando che in Ungheria le torte di sterco duravano pochi giorni grazie all’attività dei coleotteri stercorari, insetti che hanno una certa predilezione per ciò di cui si liberano vacche e altri animali. Era come se gli stercorari australiani non fossero interessati a smaltire tutto quel ben di Dio, come avrebbero fatto i loro colleghi europei.

Il problema dell’accumulo di sterco nei pascoli era già noto da tempo e stava complicando la vita a molti allevatori. Comprensibilmente i bovini preferiscono mantenere una certa distanza da ciò che si sono lasciati alle spalle, di conseguenza non mangiano l’erba che si trova nelle vicinanze delle loro torte di sterco. Se queste sono numerose e ricoprono per lungo tempo una grande porzione di terreno, la resa dei pascoli diminuisce e di conseguenza diventa più difficile assicurarsi che i bovini abbiano erba a sufficienza per nutrirsi. Una vacca produce fino a dodici torte di sterco al giorno, più esemplari possono quindi determinare una perdita di svariate migliaia di chilometri quadrati di terreno ogni anno.

In alcune aree dell’Australia la grande quantità di sterco, secco e fresco, aveva inoltre favorito un marcato aumento della popolazione di vermi, mosche e moscerini, che causavano grandi disagi. La loro presenza in numero eccessivo costituiva inoltre un rischio per l’ambiente e il mantenimento di un certo equilibrio negli ecosistemi.

(Ian Waldie/Getty Images)

Insieme ad altri esperti, Bornemissza si mise a studiare le specie di scarabei stercorari australiani, notando che queste si erano evolute nel corso dei millenni adattandosi allo sterco prodotto dagli animali tipici dell’Australia come i marsupiali. Questi animali producono palline di sterco molto compatte, asciutte e fibrose, a differenza delle torte di sterco grandi, morbide e particolarmente umide prodotte dai bovini. Salvo qualche rara eccezione, gli stercorari australiani non erano in grado di sfruttare queste ultime come fonte di cibo e per riprodursi, di conseguenza senza insetti in grado di smaltirle adeguatamente queste avevano continuato ad accumularsi impiegando talvolta vari anni prima di decomporsi e sparire.

Bornemissza propose di introdurre in Australia nuove specie di stercorari, provenienti da altre parti del mondo e adattate ai bovini e ad altri grandi erbivori, per risolvere il problema dello sterco, migliorare la resa dei pascoli e ridurre drasticamente le popolazioni di specie infestanti come vermi e mosche. Da quella proposta, negli anni Sessanta nacque un progetto vero e proprio, l’Australian Dung Beetle Project, per sperimentare in una porzione limitata del territorio australiano l’introduzione degli stercorari dall’estero, studiarne gli effetti e solo in caso di esiti positivi, senza altri disastri per le specie endemiche come quelli avvenuti in passato, procedere a una loro diffusione su larga scala.

I gruppi di ricerca presero in considerazione decine di specie diverse di stercorari tipici di zone climatiche con caratteristiche paragonabili a quelle australiane, e abituati a vivere nei pressi dei pascoli e degli allevamenti dei bovini. Le prime ricerche portarono a identificare i coleotteri appartenenti alla specie Onthophagus gazella, tipica dell’Africa e in seguito introdotta alle Hawaii nel tentativo di tenere sotto controllo specie di mosche che succhiano il sangue.

Alcuni esemplari di O. gazella furono trasportati in Australia, dove furono messi sotto quarantena per assicurarsi che non fossero portatori di malattie. In breve tempo divenne evidente che un’importazione diretta dalle Hawaii non sarebbe stata possibile, perché i coleotteri erano infestati da alcuni acari particolarmente insidiosi.

I ricercatori non si scoraggiarono: utilizzarono comunque i nuovi arrivati per far produrre loro nuove generazioni, avendo cura di ripulire in formalina le uova per sterilizzarle, prima di inserirle nelle palline di sterco dove avviene la loro maturazione. Ne nacquero nuove generazioni prive di acari, che furono rilasciate in un campo nel Queensland nelle prime settimane del 1968, dimostrando inoltre la possibilità di eliminare i parassiti prima dell’incubazione.

La prima sperimentazione con O. gazella diede esiti promettenti: gli stercorari riuscivano a smaltire le torte di sterco in un giorno e ogni anno estendevano di svariate decine di chilometri la loro presenza, con la produzione di nuove generazioni. In meno di due anni, i coleotteri avevano popolato un’area di circa 400 chilometri quadrati, anche se la loro capacità di smaltire le torte di sterco variava sensibilmente a seconda delle zone e dei periodi. L’idea di Bornemissza stava funzionando, ma era necessario allargare la platea di specie coinvolte nella grande abbuffata di sterco australiano.

Uno stercorario all’opera in Sudafrica (Getty Images)

Bornemissza vide nel Sudafrica il luogo ideale per svolgere le ricerche sulle nuove specie candidate a essere introdotte in Australia. Molte aree del paese hanno un clima comparabile a quello australiano, in alcune zone vivono centinaia di specie diverse di coleotteri e molte di queste si sono evolute in prossimità di grandi ruminanti. Fu fondato un centro di ricerca per gli stercorari a Pretoria e in seguito in altre città del paese.

I gruppi di ricerca stabilirono alcuni criteri per l’identificazione delle specie ideali di coleotteri. Dovevano essere dipendenti esclusivamente dallo sterco e non da altre fonti di cibo, in modo da non incidere sugli ecosistemi australiani, e dovevano essere esclusivamente interessati agli escrementi dei bovini e non di altri animali, per non disturbare le specie autoctone di stercorari. La ricerca si concentrò inoltre su coleotteri con un ciclo di riproduzione piuttosto rapido, facile da gestire anche negli insettari e nelle fasi di quarantena. Infine, dovevano essere facili da riconoscere, in modo da poter valutare la loro diffusione sul territorio.

Le specie candidate portate in laboratorio a Pretoria venivano analizzate per valutare il loro comportamento e le capacità di adattamento a vari habitat. Questo elemento si rivelò centrale per il successo dell’introduzione di nuove specie nel territorio australiano. I gruppi di ricerca prestarono poi particolare attenzione alle modalità di riproduzione, cercando di produrre popolazioni ampie e con una buona variabilità genetica, per ridurre il rischio che la riproduzione tra parenti stretti di stercorari portasse a un loro progressivo indebolimento.

In Australia le specie selezionate venivano mantenute in isolamento per assicurarsi che non fossero portatrici di parassiti e malattie, una procedura che consentiva di verificare la resistenza dei vari tipi di coleotteri ed eventualmente di escluderne alcuni. Gli stercorari venivano poi trasportati e liberati nei pascoli, in prossimità delle torte di sterco, dove mostravano da subito di essere molto interessati alla loro nuova sistemazione. Gli allevatori avevano poi il compito di controllare la situazione e di segnalare l’andamento dell’iniziativa, sia in termini di stercorari avvistati sia di torte di sterco smaltite nel tempo.

In uno studio pubblicato nel 1976, Bornemissza scrisse che l’anno precedente erano state introdotte 23 specie diverse di stercorari. Una decina di anni dopo, le specie erano diventate 43, dall’Africa e dall’Europa, anche se almeno una ventina avevano avuto problemi a produrre popolazioni stabili.

L’Australian Dung Beetle Project si concluse a metà degli anni Ottanta, in seguito a una riorganizzazione dell’Australian Meat Research Committee, tra i finanziatori dell’iniziativa. Il lavoro di Bornemissza e dei suoi colleghi fu comunque valutato da vari rapporti negli anni seguenti e definito un «successo eccezionale» con benefici per il suolo, l’acqua, la salute dei pascoli e la possibilità di tenere sotto controllo le infestazioni di vari insetti volanti, capaci di danni «stimabili in molti milioni di dollari all’anno».

L’introduzione degli stercorari contribuì ad attenuare il problema della grande proliferazione di mosche appartenenti alla specie Musca vetustissima, attirata dai nostri fluidi corporei come sudore e lacrime, e responsabile della diffusione di vari batteri nocivi per gli esseri umani. Fino a metà Novecento, la loro diffusione in alcune aree dell’Australia era tale da aver spinto le autorità a produrre leggi che vietavano ai ristoranti di offrire posti all’aperto, se non isolati dalle zanzariere, per motivi sanitari.

George Francis Bornemissza mostra una collezione di coleotteri stercorari (CSIRO)

Nel 1979 Bornemissza si era intanto trasferito in Tasmania, dove continuò a studiare i coleotteri e a divulgarne l’importanza anche dopo il pensionamento. Si dedicò alla collezione di migliaia di esemplari diversi di questi insetti fino ai suoi ultimi giorni.

Morì il 10 aprile del 2014, poche settimane dopo avere compiuto 90 anni. Almeno 20 specie di coleotteri oggi portano il suo nome.

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