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“L’Italia tifi per Macron: il nostro miglior garante”

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«Macron tutta la vita». Non ha mezze misure il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta. Economista e profondo conoscitore dei meccanismi che regolano la Ue, spiega al Giornale la sua scelta di campo a sostegno del presidente uscente della Francia.

Ministro Brunetta, in Francia si è ristretto il centrodestra come viene inteso nel nostro Paese. È un allarme che suona anche per i moderati italiani?

«Non mi ritrovo nella tesi di partenza. Le aree politiche hanno superfici, ma ancora di più hanno profondità: possiamo valutarle sulla base di come entrano nella società, nelle coscienze, negli interessi di cui si fanno rappresentanti. L’elezione di Macron alla presidenza francese nel 2017 è sicuramente il frutto di un restringimento dei partiti tradizionali della Quinta Repubblica, dagli eredi di De Gaulle ai socialisti di Mitterrand, ma è ancora di più la conseguenza della sua capacità di interpretare meglio degli altri, in profondità, lo Zeitgeist, lo spirito del tempo. Con Macron in Francia si è formato un grande centro europeista che ha decretato il superamento della contrapposizione destra-sinistra e l’affermarsi di una nuova discriminante: il rapporto con l’Europa. Al secondo turno, il 24 aprile, la scelta non sarà tra sinistra e destra, ma tra integrazione e disintegrazione dell’Europa. La maggioranza degli italiani non può che tifare Macron: sanno che è il miglior garante degli interessi dell’Italia».

Come spiega il fatto che i tre leader italiani di centrodestra abbiano posizioni differenti sul ballottaggio francese? Berlusconi per Macron, Salvini per Le Pen, Meloni neutrale?

«Nessuno stupore, nessuno ha cambiato idea: questa è sempre stata una delle differenze all’interno del centrodestra italiano. Soltanto che in passato l’imprinting era dato soltanto da Berlusconi e da Forza Italia. Oggi, con pesi e misure cambiati, la diversità di posizioni fa notizia. E, sì, può diventare un problema proprio in virtù della discriminante europea che citavo prima. Berlusconi e Forza Italia non possono che essere per Macron, perché è un convinto europeista e atlantista e perché il suo partito all’Europarlamento siede nel gruppo liberale Renew Europe. Chi, come noi azzurri aderisce al Ppe, non può che essere dalla sua parte. La nostra stella polare è la lezione di Helmut Kohl: Nel dubbio, per l’Europa».

Scenario A. Viene riconfermato Macron. Le ricadute per l’Italia.

«Stabilità per la nuova Italia di Draghi dentro la nuova Europa, nel senso evolutivo Consiglio europeo informale di Versailles di marzo. Significherebbe avanti tutta con questo governo e con l’unità nazionale, senza cedimenti alle tentazioni sovraniste. Macron oggi rappresenta il miglior alleato del nostro Paese: è stato grazie alla sua spinta, in asse con quella dell’esecutivo Conte 2, che nel 2020 la Germania di Angela Merkel si è convinta ad avallare l’indebitamento comune dell’Europa che ha dato vita, in risposta alla pandemia, al Next Generation EU, di cui l’Italia è la principale beneficiaria. È stato Macron a lanciare nel 2017 la proposta del Trattato del Quirinale, firmato con Draghi il 26 novembre 2021: è la base per creare una relazione speciale tra Italia e Francia, anche nel settore della difesa e nella gestione delle frontiere. E sono stati sempre Macron e Draghi a siglare insieme l’intervento sul Financial Times per chiedere una riforma del Patto di stabilità. In sintesi: Macron è il miglior sostenitore dello slancio riformista del nostro governo».

Scenario B. La Francia si affida all’estrema destra. Ci sarà un centrodestra più sovranista a Roma?

«È molto probabile. La vittoria di Le Pen non avrebbe lo stesso significato della riconferma di Orbán in Ungheria e di Vucic in Serbia. Sarebbe una rivoluzione regressiva: significherebbe indebolire l’Europa in un momento in cui abbiamo bisogno di più Europa per tenere testa all’aggressione di Putin e all’egemonismo cinese, ma anche per reagire all’isolazionismo americano, sempre in agguato. Lasceremmo l’Unione europea alla deriva sovranista. Vede, al di là del fatto già richiamato che non possiamo immaginare maggiori convergenze in Europa senza un ruolo centrale per la Francia di Macron, l’unica potenza nucleare dell’Unione dopo la Brexit, ancora più rilevante è il contributo che Macron ha contrapposto alla crisi culturale dell’europeismo. La sua visione laica, che è anche la nostra, si basa sui valori della democrazia liberale nati dalla sintesi delle tre culture politiche che hanno fatto l’Europa unita: cristiana, liberale e socialista. In sintonia con la postura di Forza Italia, il pensiero di Macron e il suo grande centro sfidano le pseudocredenze integraliste e radicali della demagogia di Putin, che falsamente si proclama il difensore dell’Europa cristiana. Non è vero che con Le Pen nulla cambierebbe. Il duello è tra il populismo anti-istituzionale e l’europeismo dentro una prospettiva istituzionale, valore fondante del centrodestra a trazione Forza Italia e di tutti i moderati».

Il fattore Europa. Dopo la pandemia e la guerra all’Est, dobbiamo intenderla come contenitore sovranazionale o un nuovo soggetto con caratteristiche politico-militari più marcate?

«Così come l’Unione europea ha saputo mettere in campo lo strumento eccezionale del Next Generation EU per affrontare la crisi pandemica da Covid-19, ora serve lo stesso coraggio di due anni fa. Davanti a una nuova perturbazione bisogna reagire con una nuova spinta evolutiva, verso un Next Generation EU 2 in grado di garantire l’hard power e l’autonomia strategica dell’Unione dal punto di vista della sicurezza e dell’energia. Per questo all’inizio della guerra in Ucraina ho auspicato non una pace qualsiasi, ma una pace per. Una pace per recuperare lo spirito di Pratica di Mare che Berlusconi aveva saputo affermare il 28 maggio 2002, con il vertice allargato Nato-Russia: non l’espansione (dell’Ue e della Nato), ma l’inclusione».

L’Italia di Draghi tra crisi energetica, crisi in Ucraina e coda finale del Covid: tre fronti di emergenza che allarmano i cittadini. Stiamo meglio o peggio di un anno fa?

«Contro il Covid l’Italia di Draghi può rivendicare di aver rappresentato un modello in Europa e nel mondo: abbiamo assicurato il massimo livello di sicurezza sanitaria con il massimo livello di apertura delle attività economiche. Questo ci ha permesso di crescere al +6,6% nel 2021, il doppio della Germania. La crisi energetica è figlia degli errori e della miopia del Nord Europa, ma anche dei tanti no e delle inculture ambientaliste che hanno spopolato nel nostro Paese. È ora di liberarsi degli egoismi. Apprezzo enormemente la politica estera di Draghi e Di Maio volta a riaprire e diversificare le fonti di approvvigionamento e a ristabilire il dialogo con tutti i potenziali fornitori. Io sono ottimista».

Per il governo di cui fa parte vede una navigazione tranquilla verso l’approdo di fine legislatura nel 2023? Si tornerà immediatamente a una competizione naturale trai partiti o il quadro non sarà più come prima dopo un esecutivo di unità nazionale?

«Dopo le elezioni politiche del 2018 e i loro esiti politici, dopo le esperienze del Conte 1 e del Conte 2 con la loro dimostrata impotenza di governare e dopo il governo di quasi unità nazionale nulla potrà più essere come prima. Nella prima parte della legislatura l’Italia è stata resa più fragile. Nell’ultima parte Draghi ha recuperato su tutti i fronti: nel contrasto alla pandemia e alla crisi sociale ed economica, ma soprattutto nei rapporti con l’Europa. Farlo cadere prima del termine naturale sarebbe follia. Ciò non vuol dire assolutamente privare i partiti della loro voce o negare le loro bandiere, ma il momento drammatico richiede che prevalga il senso di responsabilità. Anche perché abbiamo un Piano nazionale di ripresa e resilienza, la nostra assicurazione sul futuro, da portare a termine. L’obiettivo che dovremmo darci, come comunità nazionale, è quello di riuscire a centrare gli obiettivi fino a giugno 2023: completare i 129 tra milestone e target che ci separano da quella data significa accedere al pagamento delle prossime tre rate per 64,3 miliardi di euro complessivi, che si aggiungono alla prima da 24,1 miliardi prossima all’erogazione. Un risultato di straordinaria importanza. Non solo e non tanto per il governo, ma per l’Italia, per l’Italia intera».

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