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L’energia eolica nasce anche da aquiloni grandi come vele

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Tra le alternative per sottrarci alla dipendenza energetica dalla Russia, si fa strada una nuova tecnologia per produrre energia eolica ad alta quota (airborne). Al posto delle pale giganti, ci saranno vele, ali semirigide o perfino droni, dispiegati in aria, fino a 500 metri dal suolo, per sfruttare la velocità del vento. Il primo sistema commerciale, interamente autonomo, di eolico ad alta quota è stato appena lanciato sull’isola di Mauritius da SkySails Power, azienda tedesca pioniera della nuova frontiera energetica. Dal 2015 lavora a questa tecnologia alternativa e ha già venduto cinque unità dopo lunghi anni di ricerca e sviluppo. “Per sette anni abbiamo perfezionato il software che permette di controllare il volo dell’aquilone, largo 150 metri quadrati. Produce 100 Kilowatt, l’equivalente di energia che può servire una cinquantina di abitazioni”, spiegano da SkySails.

Come funziona

Il sistema è composto da tre elementi: il kite (aquilone), la stazione di terra e il cavo che connette i due, avvolto su un tamburo collegato a un generatore. Sul kite c’è un sistema di controllo meccatronico del volo che fa compiere all’aquilone delle traiettorie a forma di 8. Il cavo viene tirato con una forza pari a 10 tonnellate, fa girare il rocchetto e trascina il generatore elettrico che produce energia, allo stesso modo di una dinamo. Una volta raggiunta la lunghezza massima del cavo, l’autopilot porta l’aquilone in una posizione neutra. Consumando solo una piccola porzione di energia prodotta, il generatore riavvolge il filo. E poi il ciclo ricomincia da capo.



“Questo sistema potrebbe diventare un’alternativa energetica vera tra 6-10 anni, non immediatamente. Per ottenere 1 Gigawatt, per esempio, servirebbero 600-700 unità collocate in una grossa wind farm. Ma la tecnologia è molto promettente e potrebbe costare, secondo i nostri calcoli, il 30-40% in meno rispetto all’eolico tradizionale”, spiega a Lorenzo Fagiano, docente di Ingegneria dell’Automazione al Politecnico di Milano e rappresentante per l’università dell’associazione Airborne Wind Europe, nata nel 2019. I vantaggi rispetto alle pale sono evidenti: “Si eliminano torre e rotore, quindi basamento di cemento e altri materiali energivori, e si risparmia il costo di installazione. Un sistema airborne sta in un container e può essere spedito ovunque – prosegue Fagiano – Inoltre a 400-500 metri di altezza il vento è più forte (le pale arrivano a 150-200 metri). Con una velocità del vento doppia si ottiene una quantità di energia otto volte maggiore. È interessante anche la versione offshore, installata su piattaforme flottanti”.



La tecnologia, però, è ancora di nicchia e non mancano le complicazioni: “Non esistono ancora regole ad hoc. Gli impianti ad alta quota impattano sull’aviazione civile e privata e si sta lavorando con gli enti competenti a livello nazionale (Enac ed Enav) ed europeo per arrivare a norme certe. Stesso discorso per le normative sulla sicurezza. Il problema è che i finanziamenti stentano a decollare proprio per la mancanza di regole. È un circolo vizioso”, ammette il docente. In Europa, però, già una decina di aziende stanno testando prototipi. Kitepower in Olanda, Kitemill in Norvegia, Skypull (che usa droni) in Svizzera. La prima in Italia è stata Kite Gen, nel 2007. Ha sperimentato il suo ultimo prototipo 6 anni fa e ora è alla ricerca di investimenti e personale qualificato per lanciare un nuovo impianto con ala semirigida in kevlar.




Kitenergy, invece, nasce nel 2010, fondata dal docente del Politecnico di Torino Mario Milanese e dall’ingegnere Franco Taddei. Poi, grazie al business angel Sebastiano Sella (vicepresidente di Banca Sella) la start-up decolla e costruisce il suo primo prototipo. “Si chiama KE60, si basa su un aquilone flessibile ed è in grado di produrre 60 Kilowatt. Grazie all’appoggio dell’Aeronautica militare, che intravede un possibile utilizzo di questa tecnologia facilmente trasportabile a supporto delle missioni di soccorso umanitario, lo stiamo sperimentando dal 2017 in un vecchio aeroporto in Puglia, a San Pancrazio Salentino, che potrebbe diventare il sito nazionale per testare questa tecnologia”, ci anticipa Gian Mauro Maneia, ingegnere aerospaziale, Chief innovation officer di Kitenergy”.



Il sistema è simile a quello di SkySails ma con una differenza che punta a una maggiore sicurezza, argomenta Maneia: “L’azienda tedesca usa sistemi meccatronici per guidare il kite, noi lo manovriamo da terra usando due funi e consumando meno energia. Sembra una scelta all’apparenza più semplice ma è orientata all’industrializzazione”. I tempi per arrivare a una produzione soddisfacente di energia non sono, però, brevissimi: “In meno di due anni avremo un’installazione pilota con l’aiuto di partner industriali e dal 2025 sarà operativo il nostro primo sistema commerciale in grado di produrre 600 Kilowatt. Collaboriamo già con Siemens Italia, che ci fornisce i componenti elettrici”, interviene Stefano Sanmartino, Chief operating officer. Kitenergy non ha come obiettivo una produzione estensiva. Piuttosto, spiega Sanmartino, installazioni singole dove altre soluzioni non siano praticabili (zone insulari e remote).



Sebbene i fondi investiti in questa tecnologia siano ancora scarsi, la sua potenzialità è stata riconosciuta anche dal governo italiano ed europeo che ha inserito l’eolico d’alta quota nelle traiettorie verdi del futuro. Significa, potenzialmente, la possibilità di ottenere risorse dal Pnnr. A giugno, il Politecnico di Milano, ospiterà la Airborne Wind Energy Conference, che era stata cancellata l’anno scorso a causa del Covid.

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