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Le polemiche sulla band che inneggia alle Brigate Rosse

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La Digos, Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali della Polizia di Stato, sta indagando sul gruppo musicale chiamato P38 – La Gang che esibisce nel proprio simbolo la stella a cinque punte delle Brigate Rosse e che durante un concerto tenuto a Reggio Emilia il 1° maggio ha mostrato una bandiera con simbolo e nome del gruppo terrorista. Il nome P38 si rifà ostentatamente agli anni Settanta, e in particolare al movimento di protesta che faceva riferimento al gruppo Autonomia Operaia, che inneggiava proprio alla P38, la pistola comunemente associata ai cosiddetti “anni di piombo”. In realtà quelle utilizzate dai gruppi armati in quegli anni erano revolver, mentre la P38 è una pistola semiautomatica tedesca di marca Walther.

L’indagine è stata avviata in seguito alle polemiche nate dalle notizie sul concerto del gruppo, composto da persone che vogliono rimanere anonime, che aveva suonato al circolo Arci Tunnel di Reggio Emilia. I titoli dei brani cantati dal gruppo sono per esempio “Renault” (esplicito richiamo all’auto in cui il 9 maggio 1978 venne fatto trovare il corpo di Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse), “Primo comunicato”, “Nuove BR” o “Giovane Stalin”. Il brano “Ghiaccio Siberia” si apre con la registrazione di un’intervista di Mario Moretti, membro del gruppo che rapì e uccise Moro, con il giornalista Sergio Zavoli. 

Il gruppo si definisce «collettivo musicale artistico insurrezionale». I componenti sono quattro e si fanno chiamare Astore, Papà Dimitri, Yung Stalin, Jimmy Penthotal. Si esibiscono indossando passamontagna e i loro profili, così come quelli del gruppo, sono ora spariti dai social network (anche se non del tutto). Prima che le pagine scomparissero, i quattro avevano risposto alle polemiche scrivendo:

«Potremmo far notare come nelle attuali classifiche, nei brani che passano in radio, nelle canzoni che ascoltano i vostri figli ancora prima di finire le scuole medie, vengono decantati reati ben peggiori. Parliamo di spaccio su larga scala, reati di mafia, stupri. Quando si parla di arte e musica, è spesso la provocazione a scuotere gli animi, a far voltare le teste. Siamo estremi? Sì. Siamo provocatori? Sì. Tutto questo è voluto. L’oltraggio al caso Moro? Su questo ci concediamo di essere netti. Aldo Moro è stato un morto, come lo sono i morti di overdose nelle periferie abbandonate dallo Stato, come lo sono i morti sul lavoro nelle fabbriche che ignorano le norme di sicurezza, come lo sono i morti di una pandemia gestita disastrosamente dalle istituzioni».

Marco Vicini, il presidente del circolo Arci che ha ospitato il concerto, sarà sentito oggi in Procura a Reggio Emilia: è indagato per istigazione a delinquere. La Digos ha identificato i quattro componenti del gruppo: secondo quanto riporta Reggio on line avrebbero tra i 25 e i 33 anni e sarebbero originari di diverse città italiane, anche se il centro della loro attività è Bologna. Anche per loro l’ipotesi di reato è istigazione a delinquere. Sono stati denunciati anche per apologia di reato in merito a un concerto tenuto il 25 aprile a Pescara, anch’esso in un circolo Arci, lo Scumm. 

A  presentare un esposto a Pescara dopo l’esibizione del gruppo era stato Bruno D’Alfonso: suo padre Alfonso fu ucciso dalle Brigate Rosse durante uno scontro a fuoco ad Arzello di Melazzo, in provincia di Alessandria. Nel corso della sparatoria, avvenuta il 5 giugno 1975 durante le ricerche dell’imprenditore Vittorio Vallarino Gancia, rapito dai brigatisti il giorno prima, rimasero feriti altri due carabinieri e morì Mara Cagol, la moglie di Renato Curcio, uno dei fondatori delle BR.

A far scoprire a Bruno D’Alfonso l’esistenza del gruppo e il fatto che avesse suonato al circolo Arci era stato, come riporta il Secolo XIX, il figlio musicista che in precedenza aveva suonato nello stesso circolo. Dopo la denuncia, D’Alfonso ha ricevuto sul suo profilo Instagram un messaggio con un link: aprendolo è apparsa una foto in bianco e nero del padre e la scritta «Sei il prossimo». Ha detto D’Alfonso: «Spero che gli autori della minaccia vengano identificati e perseguiti ma credo che non debba essere permesso a nessuno, nemmeno in nome della libertà di espressione artistica, di inneggiare al terrorismo e di offendere la memoria di quanti di quel terrorismo sono stati vittime e dei loro familiari».

Una denuncia l’ha preannunciata anche Maria Fida Moro, figlia del presidente della Democrazia Cristiana assassinato: «Qui non si tratta di libertà di pensiero», ha detto, «ma di istigazione al terrorismo». Il figlio di Marco Biagi, ucciso dalle Nuove Brigate Rosse a Bologna il 19 marzo 2002, ha scritto sul suo profilo Facebook: «Le cose più schifose a mio parere sono due: la prima è che il titolare di questo locale che li ha invitati li ha pure difesi in seguito alla loro esibizione dicendo che è “solo” una provocazione. La seconda cosa schifosa è che non è la prima volta che questo “gruppo” viene invitato nei locali ad esibirsi».

Sul Corriere della Sera è intervenuto anche uno dei fondatori delle Brigate Rosse, Enrico Franceschini: «Quella della Gang P38 mi sembra una strumentalizzazione finalizzata a fare pubblicità. Quello delle Brigate Rosse è stato un capitolo drammatico della storia italiana del Novecento». 

La polemica politica, in un primo momento a livello cittadino e regionale, si sta ora allargando. Il movimento di destra Reggio Emilia Identitaria ha chiesto «la chiusura del locale che ha permesso un tale scempio, nella totale mancanza di rispetto verso i familiari caduti per mano brigatista». In consiglio comunale Fratelli d’Italia e La Lega hanno chiesto al sindaco di revocare l’assegnazione dello spazio della ex centrale del latte cittadina al centro sociale Crash, perché in passato aveva ospitato concerti del gruppo. Il presidente della regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, ha detto parlando con la stampa: «Ho visto le immagini e letto alcuni testi di questa sedicente band che inneggia alle peggiori pagine della nostra storia repubblicana, alla violenza brigatista, al rapimento e all’uccisione di Aldo Moro: sono indignato e disgustato, e che si sia anche scelto di girare il video sotto le torri della Regione, in viale Aldo Moro, un video di quel tenore per puro sfregio è inqualificabile e deprecabile».

Il giornale Secolo d’Italia, che fa capo alla Fondazione Alleanza Nazionale, riporta il comunicato di un senatore di Fratelli d’Italia, Giovan Battista Fazzolari, che ha trovato in un testo del gruppo riferimenti alla presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni: “Poi vota Fratelli d’Italia/Se avessi davanti la faccia di Giorgia/ Ti giuro che a lei servirebbe una plastica”. Scrive nel comunicato Fazzolari: «Vigliacchi che inneggiano alla violenza su una donna. È questo il risultato della sistematica campagna di odio su tv e giornali contro Giorgia Meloni».

Hanno scritto ancora i componenti della band sul loro profilo Facebook: «A quanto pare il giorno è giunto: il variopinto mondo del giornalismo italiano si è finalmente accorto di noi. Benvenuti; siete in ritardo, ma vi aspettavamo». Marco Vicini, presidente del circolo Arci in cui i quattro si sono esibiti, ha detto a Repubblica: «Il trap per vocazione tratta tematiche estreme e provocatorie. Questo gruppo, che ha un certo seguito ed è da mesi in tournée, partecipando anche ad importanti festival nazionali ha dato una declinazione altrettanto provocatoria con le BR. Il mondo della musica è pieno di esempi di natura dissacrante, come la canzone Jurij spara dei Cccp. La verità è che i fascisti si incazzavano allora a sentire le parole di Giovanni Lindo Ferretti e si infuriano adesso ad ascoltare i P38. Penso comunque ci siano problemi più importanti».

La P38 avrebbe dovuto suonare anche al Mi Ami, un popolare festival di musica indie che si tiene a Milano, ma in seguito alle denunce e alle polemiche l’organizzazione ha deciso di annullare il concerto. Annunciando la partecipazione, il gruppo aveva scritto su Facebook: «Ci piacciono: l’Urss, il conflitto, gli anni di piombo. Non ci piacciono i fricchettoni, il libero mercato, Emma Bonino. Bene, direi che adesso che ci conosciamo ci sono tutte le carte in tavola per un primo appuntamento da paura. La nostra teoria è che quelli del MI AMI ci abbiano chiamato perché pensano che stiamo scherzando. Be’, diciamo che si vedrà quanto scherziamo dal palco».

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