L’albero del pane potrebbe tornare utile
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L’albero del pane (artocarpus altilis) è una pianta originaria della Nuova Guinea e diffusa in tutto il Pacifico e nel sud-est asiatico: il nome fa riferimento al gusto che il suo frutto assume da cotto, che è appunto molto simile a quello del pane. Appartiene alla famiglia delle Moraceae, perlopiù alberi e arbusti diffusi soprattutto nelle zone tropicali e subtropicali ma anche, in misura minore, nelle zone temperate: in Italia una delle piante più diffuse di questa famiglia è il fico comune.
Un recente studio sull’albero del pane pubblicato sulla rivista scientifica PLOS Climate e condotto da un gruppo di ricerca della Northwestern University a Evanston, Illinois, espone una serie di ragioni per cui un ampliamento della coltivazione di questa pianta nel mondo potrebbe in futuro contribuire a contrastare la crisi alimentare globale. Principalmente per una ragione: la maggiore resistenza di questa pianta ai cambiamenti climatici rispetto ad altre coltivazioni.
Secondo una stima del Programma alimentare mondiale (WFP) delle Nazioni Unite, tra il 2016 e il 2021 la quantità di persone a rischio di povertà e carenza di cibo è quasi raddoppiata, arrivando a circa 193 milioni di individui. Al netto delle complicazioni dovute a eventi recenti come la pandemia, l’invasione russa dell’Ucraina e la riduzione dei raccolti per la prolungata siccità, nella comunità scientifica è opinione condivisa che la crisi alimentare sia certamente legata, almeno in parte, alle conseguenze del riscaldamento globale.
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Secondo diverse ricerche scientifiche, alcune tra le coltivazioni più estese e importanti nel mondo – mais, soia, grano e riso – potrebbero in futuro subire una drastica riduzione a causa dell’aumento della temperatura media globale, specialmente nelle regioni vicine all’equatore. Le coltivazioni dell’albero del pane, suggerisce lo studio della Northwestern University, potrebbero invece resistere di più all’aumento delle temperature e della variabilità delle precipitazioni.
L’albero del pane, che impiega alcuni anni prima di cominciare a fruttificare, può infatti resistere a periodi di siccità di 3-4 mesi, una volta stabilizzato. È una pianta perenne, che richiede quindi meno acqua, manutenzione e fertilizzanti rispetto a quelle che devono essere ripiantate ogni anno. E può vivere e produrre frutti – e assorbire anidride carbonica dall’atmosfera – per oltre 50 anni, se coltivata in condizioni ambientali adatte. La biologa Nyree Zerega, coautrice dello studio, ha raccontato che in alcune culture nelle isole oceaniche esiste la tradizione di piantare un albero del pane alla nascita di un bambino o una bambina «per assicurarsi che avrà cibo per il resto della sua vita».
La longevità della pianta, secondo lo studio, potrebbe inoltre permettere all’albero del pane di diffondere le proprie radici più in profondità nel terreno e di stabilire relazioni simbiotiche con specie autoctone di altre piante, animali, funghi e batteri, rendendole potenzialmente più resistenti a condizioni imprevedibili. E poiché la maggior parte delle varietà non ha semi, è altamente improbabile che l’albero del pane possa diventare invasivo nelle aree in cui dovesse venire introdotto.
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Per consistenza, valori nutritivi e versatilità culinaria il frutto dell’albero del pane ricorda più che altro le patate: è ricco di amido, fibre, vitamine e minerali, e può essere cotto a vapore, fritto e arrostito per la preparazione di piatti salati, o macinato per ridurlo in farina e prolungarne la conservazione.
Tutte queste caratteristiche rendono da secoli l’albero del pane una delle piante più presenti nelle culture dell’Oceania, e poi anche in altre zone del mondo, tra cui l’America meridionale e centrale, i Caraibi e le regioni tropicali dell’Asia.
In Europa è conosciuto dalla fine del XVI secolo e legato a una nota e sfortunata avventura. Il botanico inglese Joseph Banks, dopo aver accompagnato il famoso esploratore James Cook a Tahiti nel 1769, suggerì al re Giorgio III di commissionare spedizioni speciali per trasportare piante di albero del pane nei Caraibi, dove si sperava di poterle coltivare intensivamente. Proprio con questo obiettivo, nel dicembre del 1787, la nave mercantile Bounty capitanata dall’ufficiale William Bligh salpò da Spithead in Inghilterra per arrivare a Tahiti l’anno successivo. Divenne nota per il famoso ammutinamento che provocò, tra le altre cose, la perdita di centinaia di piante di albero del pane gettate in mare dagli ammutinati.
Per comprendere l’adattabilità futura delle coltivazioni dell’albero del pane al cambiamento climatico, il gruppo di ricerca della Northwestern University ha utilizzato un insieme di modelli predittivi che simulano diversi parametri del clima terrestre (tra cui temperatura e precipitazioni) tra il 2060 e 2080. Hanno quindi preso in considerazione due possibili situazioni relative alle emissioni globali di gas serra: una in cui le emissioni si stabilizzano verso la metà del secolo in corso, e un’altra in cui continuano ad aumentare.
Nel primo caso, secondo le previsioni dello studio, le aree adatte alla coltivazione dell’albero del pane diminuirebbero del 4,4 per cento. Nel secondo caso, quello ad alte emissioni, diminuirebbero del 4,5 per cento: un dato sorprendentemente simile a quello del primo scenario. Le coltivazioni potrebbero inoltre espandersi in aree che sono già adatte ma in cui non sono ancora ampiamente diffuse, come l’Africa subsahariana, e in cui potrebbero fornire un’importante e stabile fonte di cibo.
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Nonostante i vantaggi e l’adattabilità della pianta ad altri climi, l’albero del pane è descritto dal gruppo di ricerca della Northwestern University come una potenziale risorsa di base al momento ampiamente sottoutilizzata fuori dall’area del Pacifico. Una delle ragioni è che l’incertezza generale sull’evoluzione futura della produzione alimentare globale rende gli agricoltori riluttanti a scegliere l’albero del pane rispetto a coltivazioni più tradizionali.
In aggiunta ad altre misure che cerchino soprattutto di diversificare l’agricoltura anziché fare affidamento su poche coltivazioni, l’ampliamento della coltivazione dell’albero del pane è considerato dagli autori e dalle autrici dello studio un lungimirante strumento di contrasto della crisi alimentare globale a fronte dell’evoluzione del clima.