La scomparsa dei 43 studenti in Messico fu un crimine di stato, dice un’indagine del governo

Giovedì una commissione governativa del Messico ha comunicato i risultati preliminari di un’indagine in corso sui 43 studenti scomparsi nel 2014 a Iguala, nello stato messicano di Guerrero, uno dei casi di cronaca più noti, discussi e contestati che hanno riguardato il Messico negli ultimi anni. La commissione ha concluso che nella scomparsa e probabile uccisione degli studenti furono coinvolti esponenti di alto livello delle autorità federali e statali messicane. È la prima volta che viene riconosciuta la responsabilità delle istituzioni nella scomparsa dei 43 studenti, per cui finora non ci sono state condanne.

La commissione governativa che sta indagando nuovamente sul caso era stata creata dal presidente di sinistra e populista Andrés Manuel López Obrador: capire cosa fosse successo con la scomparsa dei 43 studenti era una delle promesse della sua campagna elettorale.

L’indagine della commissione si basa su oltre 41mila documenti, incluse trascrizioni di telefonate e messaggi, e su decine di video. I risultati preliminari dicono che le «azioni, omissioni e il coinvolgimento» delle autorità «hanno permesso la scomparsa e l’uccisione degli studenti», con insabbiamenti estesi ad alcune delle più alte cariche della politica nazionale, probabilmente colluse con la criminalità organizzata. Per questo il governo ha già emesso mandati d’arresto nei confronti di 33 ex funzionari coinvolti del caso, di cui non sono stati fatti i nomi perché l’indagine è ancora in corso.

I 43 studenti scomparsi nel 2014 sono solo alcune delle oltre 100mila persone scomparse o considerate tali in Messico, spesso rapite da gruppi della criminalità organizzata noti per uccidere i propri ostaggi in modi particolarmente brutali, per esempio sciogliendo i corpi nell’acido o bruciandoli.

La scomparsa degli studenti messicani risale al 26 settembre del 2014: la polizia li aveva fermati su una strada di Iguala mentre andavano con alcuni autobus a una commemorazione del massacro di studenti avvenuto nel 1968 a Taltelolco, in cui decine di manifestanti furono uccisi dalle forze dell’ordine. C’era stata una sparatoria, alcuni studenti erano stati uccisi sul posto, altri erano riusciti a fuggire. In 43 erano stati arrestati dalla polizia e da allora di loro non si era più saputo nulla.

Fin dalle prime indagini era stato ipotizzato il coinvolgimento dei Guerreros Unidos, potente banda criminale messicana, alcuni dei cui membri avevano ammesso di aver ucciso gli studenti dopo averli avuti in consegna dalla polizia locale. Anche quest’indagine ha confermato il coinvolgimento dei Guerreros Unidos, aggiungendo però un dettaglio importante e molto più circoscritto: la banda, dice l’indagine, ha potuto compiere il crimine grazie a «un ampio numero di sicari», che hanno lavorato «col sostegno di diverse agenzie di polizia locali e agenti dello Stato».

L’indagine, in particolare, ha concluso che tra gli studenti scomparsi c’era un informatore militare: significa che le autorità stavano seguendo i movimenti degli studenti da prima che scomparissero, fatto che rende ancora più concreta l’ipotesi che almeno l’esercito sapesse fin da subito cosa fosse successo. Dal 2014 a oggi, però, le forze armate «non hanno fatto nulla» per contribuire alla risoluzione del caso, ha detto Alejandro Encinas, sottosegretario per i Diritti umani dell’amministrazione Obrador, alla conferenza stampa di presentazione dei risultati preliminari dell’indagine.

Ad oggi sono stati identificati i resti di solo 3 dei 43 studenti scomparsi: degli altri non si sa ancora nulla, ma secondo la commissione che sta svolgendo l’indagine ci sono tutte le ragioni per credere che siano stati uccisi e fatti sparire: tra le prove raccolte a sostegno di quest’ipotesi ci sarebbe una comunicazione inviata la sera stessa della scomparsa degli studenti, intorno alle 22.45, in cui si ordinava proprio di farli sparire. Non è ancora stato comunicato l’autore della comunicazione.

I risultati preliminari dell’indagine sembrano confermare il ruolo avuto dalla precedente amministrazione presidenziale messicana, quella di Enrique Peña Nieto, nel caso e nei successivi insabbiamenti. Con occultamenti e manomissioni di prove che secondo Maureen Meyer dell’ong Washington Office on Latin America, che si occupa di diritti umani, rendono piuttosto improbabile una piena risoluzione del caso.

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