La questione delle firme digitali per presentare le liste elettorali non è finita
Il tribunale di Milano non ha ancora preso una decisione sul ricorso presentato dal partito Referendum e Democrazia di Marco Cappato riguardo all’esclusione dalle liste ammesse alle elezioni del 25 settembre, dovuta al fatto che le firme a sostegno della candidatura erano state raccolte in formato digitale. Dopo un’udienza che si è tenuta lunedì, il tribunale dovrebbe annunciare che provvedimenti intenda prendere, in una decisione attesa e importante su una questione che, secondo Cappato, riguarda di fatto la democraticità delle prossime elezioni.
Quella che sta cercando di dimostrare Referendum e Democrazia è una questione di principio: le firme digitali, cioè quelle che garantiscono l’identità del cittadino attraverso sistemi diversi, compreso lo SPID, sono considerate valide e legali per molti aspetti della vita pubblica e amministrativa italiana, compresa la presentazione di un referendum. Ma le firme digitali raccolte da Referendum e Democrazia a sostegno della candidatura della lista in diversi collegi del Nord Italia sono state invece considerate non valide.
La lista non è stata quindi ammessa dalle Corti di Appello, secondo Cappato per via di una interpretazione datata e restrittiva delle leggi. Da lì è cominciato un procedimento legale per ottenerne il riconoscimento.
Referendum e Democrazia aveva chiesto più volte al governo di intervenire: con un decreto apposito, diceva, il governo avrebbe potuto risolvere la situazione. Ha scritto per questo più volte al presidente del Consiglio Mario Draghi e alla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, che però non sono intervenuti. Anzi, il governo ha presentato una memoria tramite l’Avvocatura dello Stato, l’organo che rappresenta e consiglia lo Stato e l’amministrazione pubblica in materia giuridica, che secondo Cappato rappresenta una sorta di «ricatto istituzionale».
Il governo, infatti, si è opposto al riconoscimento delle firme digitali e ha scritto che se il ricorso di Referendum e Democrazia venisse ammesso le «rigorose scansioni temporali» delle elezioni «sarebbero completamente stravolte al punto di imporre di fissare una nuova data per la convocazione dei comizi elettorali». Cioè, in pratica, se il ricorso fosse ammesso bisognerebbe rinviare le elezioni.
È uno scenario abbastanza incredibile, e secondo Cappato il governo sta attribuendo al tribunale di Milano la responsabilità di un’eventuale scelta di questo tipo.
Se il governo fosse intervenuto quando Referendum e Democrazia aveva chiesto un decreto in materia elettorale per riconoscere le firme digitali, lo scorso 25 luglio, subito dopo aver fissato la data delle elezioni, secondo Cappato non si sarebbe arrivati a questa situazione.
A mettere in discussione la democraticità delle elezioni del 25 settembre sono stati vari partiti ed esponenti politici dei partiti più piccoli, nelle ultime settimane: la raccolta delle decine di migliaia di firme necessarie per presentare una lista – autenticate, quindi raccolte in presenza di sindaci, amministratori locali o funzionari comunali, notai o avvocati – è stata infatti molto complicata. C’è stato meno di un mese di tempo, e in pieno agosto.
Il governo non si è detto d’accordo, e nella memoria ha rilevato come anche per queste elezioni le formazioni politiche «di qualche consistenza» sono riuscite a raccogliere le firme e a candidarsi.
Le firme digitali sarebbero state in ogni caso un sistema che avrebbe agevolato le candidature di movimenti e partiti meno strutturati e diffusi sul territorio. La loro validità era stata riconosciuta per la raccolta delle firme a favore dei referendum su cannabis ed eutanasia, poi bocciati dalla Corte Costituzionale (ma per problemi di formulazione).
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