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“La premiership? Decisa dagli eletti. Dopo 30 anni lascio l’Ue e mi candido”

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Antonio Tajani, vicepresidente e coordinatore nazionale di Forza Italia, siamo alla vigilia del primo vertice elettorale del centrodestra. Come vi preparate al voto?

«Fisseremo la strategia del centrodestra in campagna elettorale, il nostro progetto vincente sul futuro dell’Italia, per dare risposte ai problemi degli italiani, come il potere d’acquisto di stipendi e pensioni che perde valore ogni giorno e infatti Berlusconi propone di aumentare le pensioni minime. Altro obiettivo è abbattere il cuneo fiscale, le tasse sulle imprese per aumentare le buste-paga dei lavoratori. E poi ci sono i temi della tutela dell’ambiente, tanti altri…».

Come spartire i seggi nei collegi uninominali è un punto delicato…

«Saranno i leader a trovare una soluzione, sono convinto che ci si riuscirà».

E poi c’è la questione del candidato-premier. Giorgia Meloni avverte che se non c’è un accordo non ha senso l’alleanza.

«L’alleanza di centrodestra ha senso per i cittadini, che vogliono una coalizione unita. Anche stavolta andremo alle elezioni uniti. Ma quello del candidato-premier non mi sembra il problema principale».

Berlusconi ha parlato della possibilità che lo scelga l’assemblea degli eletti, dunque non varrebbe più la regola che lo esprime il partito più votato.

«È un’ipotesi da mettere sul tavolo, come accade in Gran Bretagna con i conservatori».

Berlusconi si candida al Senato, lei rimane all’Europarlamento o correrà alle prossime elezioni?

«Vedremo, lui deve decidere dove candidarsi. Per quanto mi riguarda, dopo 30 anni a Bruxelles mi piacerebbe fare il parlamentare italiano, per portare la mia esperienza in Italia, ma senza pennacchi e mi rimetto alle decisioni del partito».

Il Ppe e non solo vorrebbero Tajani candidato-premier.

«Questo non lo so, io non mi sono candidato a niente. Se c’è un apprezzamento per Fi in Europa è perché siamo stati sempre seri, affidabili, su posizioni europeiste e atlantiste. Valori che da sempre sono nel mio dna».

I punti di forza di questa campagna elettorale?

«Vogliamo dare al Paese un governo stabile, omogeneo, con un programma comune. È finita la stagione dell’unità nazionale per affrontare l’emergenza, serve un esecutivo unito per sostenere la crescita industriale e agricola dell’Italia. Berlusconi è stato l’ultimo presidente del consiglio eletto, è giusto che tornino a scegliere i cittadini».

Si parla molto di Agenda Draghi, ci sarà una qualche continuità nel vostro programma?

«Il nostro sarà il programma non del governo Draghi ma del centrodestra, anche se siamo stati lealmente in questo esecutivo e determinanti per tanti contenuti».

I ministri azzurri Brunetta, Gelmini e Carfagna hanno lasciato Fi ed altri parlamentari li seguono…

«Chi non condivide certe scelte dovrebbe fare come Elio Vito, dimettersi e lasciare gli incarichi. Io avrei fatto così. Le battaglie si fanno all’interno e non c’è stato cambiamento delle nostre politiche, per questo la loro scelta è incomprensibile. Basta non essere ingenerosi con chi ha dato molto e poi non solo i ministri ma tutti i parlamentari di Fi hanno votato i provvedimenti del governo Draghi».

Tutti, compresi i ministri in questione, ora vogliono occupare un centro che sarebbe alleato del Pd.

«Lasciare Fi per andare a fare l’appendice del Pd? Non mi pare che gli elettori possano comprendere. Ma non porta fortuna abbandonare la casa dove si è vissuti per tanto tempo».

Come sono i rapporti con gli alleati?

«Buoni, governiamo insieme tante regioni e città, non siamo un partito unico e ognuno ha la sua identità ma c’è un minimo comun denominatore. Trovare sempre la sintesi è quello che ha fatto per tanto tempo Berlusconi tenendo unita la coalizione».

La Meloni ha insistito perché questo vertice si svolgesse alla Camera e non più a Villa Grande: rimarca che gli equilibri sono cambiati?

«A me interessano i contenuti degli incontri, non la sede».

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