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La moglie di Alika in lacrime: «Quel video è terribile, intorno c’era tanta gente, perché nessuno l’ha aiutato?»

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di Riccardo Bruno, inviato a San Severino Marche (Macerata)

Charity Oriachi e Alika Ogorchukwu, entrambi nigeriani, hanno avuto un bambino che oggi ha 8 anni. A Civitanova lui faceva l’ambulante mentre lei l’addetta alle pulizie a San Severino Marche, nel Maceratese

Al figlio Emmanuel di 8 anni glielo ha detto soltanto la mattina del 30 luglio che il padre non c’era più. «Gli è venuto il freddo, tremava tutto, si è dovuto mettere una giacca» dice
Charity Oriachi e indica il piumino blu che è ancora sul divano. Lei è seduta a terra, si mette le mani alla testa e si asciuga continuamente le lacrime, nel salottino di questa abitazione al primo piano di un palazzotto nelle campagne alla periferia di San Severino dove da quattro anni abitava con Alika Ogorchukwu, ucciso venerdì per aver chiesto l’elemosina. La stanza è spoglia, un alberello di Natale nell’angolo, il mobile con la televisione e una bibbia e dietro attaccata al muro una foto di Alika di qualche anno fa. «Qui era molto più giovane» e a Charity scappa l’unico sorriso.

L’appello

Suo marito non c’è più e lei non sa darsi una ragione. «Adesso voglio giustizia, I need justice» ripete in italiano e in inglese. Il video che mostra la brutalità con cui è stato ucciso non è riuscita a vederlo fino alla fine. «Nel momento in cui quell’uomo gli stringe le mani al collo ho girato la testa dall’altra parte». Fa una pausa, poi riprende: «C’era tanta gente in quel momento, perché nessuno è intervenuto, perché nessuno lo ha aiutato. Forse adesso il mio Alika sarebbe ancora qui con me». Si erano conosciuti una decina di anni fa a Prato. «Io allora abitavo a Ferrara, un’amica mi portò a una festa e così lo vidi per la prima volta». Lui era appena arrivato dalla Nigeria, lei era in Italia già da tempo. Si trasferirono nelle Marche, poi nacque Emmanuel, formarono una famiglia a cui si è aggiunta Praise, 10 anni, una nipote che è come una figlia. «Alika era un padre meraviglioso — ricorda Charity —. Faceva tutto per la famiglia e per i suoi figli, di tutto si occupava lui, non ci faceva mancare niente. Quando arrivava in stazione comprava sempre il gelato e glielo portavo, non vedevano l’ora tornasse a casa. Adesso non so come faremo». Gli altri nigeriani della zona, una comunità ristretta ma molto unita, vengono a trovarla e a passare qualche ora con lei. C’è anche l’avvocato Francesco Mantella, che negli anni è diventato un amico di famiglia. Le fa sapere che in molti si sono fatti avanti per aiutarla, le chiede se può dare l’Iban del suo conto (IT 85 N 02008 69201 000106469918). Lei lo ringrazia e continua a parlare del suo Alika.

Il ricordo

«Era generoso con tutti. Per questo mi sono innamorata di lui, perché scherzava e giocava sempre, era allegro». Anche dopo l’incidente dell’anno scorso. Tornava come sempre dalla stazione in bicicletta, un autista ubriaco lo mise sotto proprio nella curva che si vede dal balcone di casa. Era rimasto claudicante, per questo era costretto a usare la stampella. «Io ogni giorno gli massaggiavo la gamba sinistra con acqua calda. Certi giorni gli faceva più male». Era riuscito a ottenere un risarcimento dall’assicurazione che lo aveva fatto respirare un po’. Lei da qualche mese aveva trovato lavoro in una ditta di pulizie. Sembrava che tutto potesse riprendersi bene, domenica scorsa alla celebrazione della chiesa evangelica, dove i nigeriani si ritrovano per pregare e stare insieme, li avevano visti felici e sorridenti. Adesso si alternano in questa casa semplice ma decorosa, per riempire un vuoto che Charity e i suoi figli non riescono ancora ad accettare.

30 luglio 2022 (modifica il 31 luglio 2022 | 00:04)

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