La foto Letta-Prodi diventa l’emblema di una sinistra che parte sconfitta
di Paolo Guzzanti
Le telecamere non sono mai sazie dell’abbraccio tra un gioioso Romano Prodi, incanutito ma ilare, e un Enrico Letta che sembrava Garibaldi dopo la conquista delle Due Sicilie. Intorno a loro, la Festa dell’Unità di Bologna che non è un luogo geografico ma dell’animo e che finché durò l’Unione Sovietica serviva per raccogliere un po’ di spiccioli vendendo salamelle per poi sostenere che il Partito, quello comunista, traeva le sue ricchezze dalla festa dell’Unità e non dalla valigetta che ogni anno il signor Ponomariov riempiva di dollari destinati alle Botteghe Oscure.
Ma oggi non ci sono più le Botteghe Oscure, non c’è Ponomariov. E infine, sia Enrico Letta che Romano Prodi non vengono dal Pci ma dalla Democrazia cristiana e provocava una sensazione di imbroglio intellettuale questo entusiasmo di due democristiani che fanno finta di essere figli dell’ecosistema del vecchio Pci. Ma in quell’abbraccio prolungato e commosso come quello di Geppetto quando recupera Pinocchio dopo la lunga prigionia nella pancia del Pescecane, stava sia la commedia che il dramma del Partito democratico che non si sa più che è, chi è e che cosa fa di bello. Romano Prodi il quale, almeno, col suo Ulivo fra i cui rami saltellavano i finti scoiattoli Cip (D’Alema) e Ciop (Veltroni) vinse due volte dopo aver messo insieme dei pezzi destinati a disintegrarsi nonostante la colla.
Il labiale di quell’incontro e di quell’abbraccio, lasciava pochi dubbi: «Che ne hai fatto del mio partito?», chiedeva Romano al giovane Enrico come se fosse immodestamente Augusto che chiedeva a Varo che fine avessero fatto le sue legioni. Ma le legioni di Letta politicamente parlando – non sono legioni cadute in un’imboscata crudele, ma semplicemente non esistono.
Letta sicuramente se ne rende conto – perché è un uomo colto e intelligente anche se di politica mastica poco e male perché non imparato né da Prodi (che, pure lui, fu sconfitto dalla famosa carica dei 101 che gli sbarrò l’accesso al Quirinale) né da Walter Veltroni.
Ricordate la grande idea strategica di Veltroni? Un partito di sinistra totalmente copiato dal partito democratico americano, per il quale aveva una personale vocazione. Ricordiamo ancora quando convinse gli ultimi rampolli della famiglia del presidente Kennedy a sponsorizzarlo al cinema Mignon di Roma: una grande festa democratica, ma una festa americana.
Veltroni confidò di non essere mai stato comunista in cuor suo nemmeno cinque minuti e infatti i veri comunisti della generazione precedente cantavano «E noi farèm come la Russia, noi farèm come Lenìn» mentre lui voleva fare come l’America e come i Kennedy: un progetto per cui aveva indossato con spirito precursore le camicie «botton down» che allora trovavi soltanto sulla Fifth Avenue di Manhattan.
Come andò quel progetto? Non fu un trionfo, ma fu comunque qualcosa, quanto meno un creativo tentativo di imitazione dell’identità altrui, poco esportabile in Italia.
Ma poi? Il popolo riformista della sinistra, quel mitico popolo di cui si parla sempre ma non si vede quasi mai assegnò un grande risultato a un altro leader del Pd e presidente del Consiglio, quel Matteo Renzi che incassò un robusto quaranta per cento alle europee, un successo che per eccesso di autostima Renzi sacrificò nella roulette del referendum costituzionale contro cui si schierò tutto il mondo del no alla modernità riformista, lo stesso che osteggia il centro destra riformista e che vuole soltanto garantire lo stato di permanenza della cultura delle caverne, come fanno oggi i nuovi alleati di Letta.
Letta è stato veramente straordinario e forse per questo Romano Prodi se lo abbracciava con tanto impegno. Per strangolarlo senza farlo vedere. Letta è stato un portabandiera dell’Occidentalismo, dell’atlantismo, del riformismo tecnologico che sembrava di sentir parlare un consolidato liberale, mentre invece teneva se stesso e il suo partito nello stesso sacco in cui si disfaceva l’inconsistente movimento Cinque stelle.
E alla fine sono stati i Cinque stelle a mandare al diavolo lui, e non il contrario. Prodi lo copriva di baci. Ma si intravvedevano denti aguzzi e retrattili come i vampiri di un film di Quentin Tarantino.