Kharkiv, la ritirata dei russi e i reduci: «Due mesi sottoterra, ma ora siamo vivi»

di Lorenzo Cremonesi

I russi si sono ritirati dalla seconda città ucraina, già capitale nell’Urss. Dietro di loro i superstiti contano i danni: molti sono rientrati tra i crateri e le rovine

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

KHARKIV — Oltre cinquanta giorni trascorsi sottoterra in una cantina di lamiere, l’incubo dei bombardamenti continui, la paura di essere scoperti. Stavamo procedendo lentamente tra i quartieri settentrionali e i villaggi di casette ad un piano che si confondono con le periferie urbane di Kharkiv, quando un uomo sulla sessantina è uscito dal giardino di fronte a casa sua per venirci incontro. «Venite a vedere come abbiamo potuto resistere ai russi».

Ha aperto la porta. Percorsi forse dieci metri, tra i resti della sua abitazione colpita dai mortai e quella del vicino parzialmente bruciata, ecco una sorta di sgabuzzino in metallo arrugginito che tramite una scaletta scende tre metri sottoterra. Nella penombra si distinguono appena un grande letto sfatto, ripostigli ingombri di vasetti di sottaceti, scatolette di aringhe, pane di segale, assieme a candele, tronchi di legna da ardere, pentole e vestiti polverosi. A malapena 8 metri quadrati. «Noi qui siamo rimasti in cinque, quattro adulti ed un bambino. Siamo scesi il 28 di febbraio e ne siamo riemersi a fine aprile».

Dice di chiamarsi Sergey Golovko: 61 anni, capelli scarmigliati, una maglia lavata ogni tanto con l’acqua della cisterna in giardino. Con la moglie, un nipote piccolo e due vicini di casa se la sono cavata grazie alle abitudini contadine. Qui sotto avevano accumulato patate, le loro verdure, pacchi di pasta e ogni tanto lui raggiungeva l’orto per qualcosa di fresco. Di fronte al «bunker» avevano costruito un forno di mattoni. «Ma quando i russi sparavano si mangiava freddo».

Tutto attorno fa impressione il numero dei crateri scavati dalle bombe di ogni tipo e calibro. Soltanto nella ventina di metri quadrati dell’orto se ne contano almeno quindici. La storia di Sergey e i suoi è quella di centinaia di migliaia di civili che adesso lentamente vengono liberati dal loro esercito in avanzata e di cui sentiremo parlare sempre più nelle prossime settimane.

Perché è indubbio ormai che i russi si stanno ritirando. Dopo avere fallito a Kiev, abbandonano anche il progetto di catturare Kharkiv, che è la seconda città del Paese, ma anche quella che inizialmente l’Unione Sovietica dopo la Grande Guerra aveva eletto a capitale della repubblica satellite dell’Ucraina assorbita nell’orbita di Mosca. Putin la considerava sua a priori e l’ha mancata.

Procedendo tra questo susseguirsi di devastazioni, mentre a cinque chilometri ancora tuonano le cannonate, non è difficile incontrare civili che, a differenza di Sergey e il suo minuscolo gruppo, erano riusciti a sfollare e adesso tornano per la prima volta a verificare i danni. Sono scene che ricordano da vicino i civili dei centri a nord di Kiev un mese e mezzo fa: tornavano guardinghi in luoghi ormai tristemente celebri come Bucha, Hostomel, Irpin, per scoprire spesso le loro abitazioni distrutte o danneggiate, assieme allo scempio della guerra voluta da Putin. Come Dima Seribiansky e Lidia, coniugi settantenni, che di fronte a noi si sono messi a piangere nel trovare il tetto sfondato, i muri forati dai proiettili, i loro vestiti, le stoviglie, i quadri, le fotografie rovinati sul pavimento tra schegge e polvere.

L’unica soddisfazione resta considerare che essere finalmente qui significa che il loro esercito sta vincendo. Infatti, da Kiev gli alti comandi fanno sapere che ormai, messa in sicurezza Kharkiv, è stata lanciata anche l’offensiva per scacciare i russi da Izyum, 120 chilometri più a sud. «Il piano russo di passare da Izyum per accerchiare le nostre armate del Donbass è sconfitto», chiariscono. Di nuovo ieri pomeriggio abbiamo osservato lunghe colonne di carri armati, autobotti di benzina, camion carichi di equipaggiamenti diretti verso le zone di Donetsk e Lugansk.

I russi sostengono che la loro armata stia avanzando, specie nelle aree di Lyman, Severodonetsk, Avdiivka e Kurakhiv. Però, anche per il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, sarebbero successi solo temporanei. Sono gli ucraini che adesso dettano le regole del gioco. Dice Stoltenberg: «La guerra non va come avevano pianificato a Mosca e può essere vinta dall’Ucraina».

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15 maggio 2022 (modifica il 15 maggio 2022 | 22:16)

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