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Iran, storie di cittadini stranieri che diventano merce di scambio

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Da alcuni anni l’Iran arresta persone con doppio passaporto, locale e occidentale, trattenendoli come se fossero ostaggi per ottenere in cambio contropartite economiche o giudiziarie. Così è stato per quanto riguarda Nazanin Zaghari-Ratcliffe e Anoosheh Ashoori, tornati nel Regno Unito dall’Iran dopo rispettivamente sei e cinque anni di privazione della libertà dopo che il governo di Londra aveva pagato 393,8 milioni di sterline per saldare una disputa decennale su un debito contratto a seguito di una mancata fornitura di armi degli anni Settanta.

Il ritorno a casa di Zaghari-Ratcliffe è stato ripetutamente legato, dagli organi d’informazione ufficiali dell’Iran, al pagamento di quella somma. Lo stesso collegamento era stato ribadito dalle autorità iraniane alla donna e ai suoi familiari nel corso del periodo di detenzione. Due giorni prima del ritorno a casa, funzionari iraniani avevano convocato Zaghari-Ratcliffe dicendole esplicitamente che stava per essere “scambiata con denaro”. Almeno altre sette persone con passaporto occidentale si trovano nella stessa condizione di ostaggi: gli austriaci-iraniani Kamran Ghaderi e Massud Mossaheb, i tedeschi-iraniani Nahid Taghavi e Jamshid Sharmahd e i britannici-iraniani Mehran Raoof e Morad Tahbaz, quest’ultimo anche cittadino degli Usa.

Ma il caso più noto è quello di Ahmadreza Djalali. Ricerche e analisi dettagliate hanno portato Amnesty International a temere fortemente che le autorità iraniane stiano minacciando di mettere a morte Djalali per costringere Belgio e Svezia a consegnare due ex funzionari iraniani e a spingere questi due Stati, tra gli altri, a non avviare ulteriori procedimenti giudiziari nei confronti di funzionari di Teheran. I due ex funzionari sono Asadollah Asadi, un ex diplomatico iraniano che sta scontando una condanna a 20 anni in Belgio in relazione a un attentato poi sventato in Francia; e Hamid Nouri, ex dirigente penitenziario sotto processo in Svezia per la sua presunta partecipazione ai massacri del 1988 nelle prigioni iraniane, contro il quale la sentenza è attesa il 14 luglio.

Nel marzo di quest’anno Shokrollah Jebeli, 82 anni, con passaporto australiano e iraniano, è morto in carcere dopo che le autorità iraniane gli avevano volutamente negato cure mediche specializzate adeguate e lo avevano privato dei medicinali necessari a tenere sotto controllo il suo precario stato di salute. L’Iran ha sottoscritto la convenzione internazionale contro la cattura di ostaggi, che vieta azioni del genere commesse sia dagli Stati che da attori non statali. La convenzione definisce cattura di ostaggi la detenzione di persone accompagnata da minacce di uccisione, ferimento o prolungamento della detenzione fino a quando una terza parte non accetterà le condizioni, che possono essere stabilite in modo esplicito o implicito, poste per il rilascio della persona in ostaggio.

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Peter Gomez

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