Il lockdown a Shanghai: tende da campeggio in ufficio e tamponi a tappeto

di Guido Santevecchi

Dal 28 marzo Shanghai è in lockdown per l’aumento dei casi di Covid. Avrebbe dovuto essere una campagna-lampo, combattuta con la consueta aggressività della Tolleranza Zero cinese e il 4 aprile la vita avrebbe dovuto riprendere normale. Ma i contagi hanno continuato ad aumentare

Le bandiere rosse vinceranno la guerra contro il Covid-19 a Shanghai? Il Partito comunista ha mandato una lettera aperta a 313 mila tesserati incitandoli «a non temere di sfoderare le nostre spade per combattere i comportamenti che ostacolano» l’operazione per soffocare l’ondata di contagi
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L’appello è un segno della posta in gioco: la campagna sanitaria per soffocare il coronavirus, nella capitale commerciale e finanziaria della Cina si sta trasformando in una sfida politica.

Dal 28 marzo Shanghai è in lockdown. Avrebbe dovuto essere una campagna-lampo, combattuta con la consueta aggressività della Tolleranza Zero cinese: gente chiusa in casa, tamponi a tappeto, i positivi (sintomatici e no) spediti in centri di isolamento. E il 4 aprile la vita avrebbe dovuto riprendere normale a Shanghai. Ma i casi hanno continuato ad aumentare: ne sono stati individuati altri 21 mila ieri; nelle ultime quattro settimane i positivi sono oltre 100 mila, il 90 per cento asintomatici, ma tutti da isolare (senza affidamento domiciliare fiduciario). Per confinarli le autorità di Shanghai hanno convertito in «centri di quarantena collettiva» le grandi strutture dell’Expo, dove le condizioni di accoglienza sono inadeguate alle abitudini di cittadini di classe media (Shanghai è la città più ricca e con il più alto tenore di vita della Cina). E comunque, le brande non bastano più, tanto è vero che la stampa di Pechino riferisce che «in questa fase cruciale e complessa» altre città sono state mobilitate per accogliere fino a 60 mila pazienti evacuati da Shanghai.





Un’operazione imponente, perché coinvolge anche i contatti stretti e i contatti dei contatti stretti dei positivi. Dalla sera alla mattina, uno shanghaiese si può ritrovare a Hangzhou, 170 chilometri dalla sua casa, o anche a Yangzhou, 400 chilometri (non sono voci, citiamo dal Global Times, quotidiano del Partito pubblicato a Pechino, ndr). Chi ha la fortuna di stare bene, di non essere entrato in contatto con alcun positivo, è comunque chiuso in casa. I palazzi sono circondati da barriere di plastica o legno, con lucchetti ai varchi e vigilantes agli incroci delle strade. Chi deve lavorare in uffici essenziali per non spegnere i servizi commerciali e finanziari della megalopoli, è costretto al lockdown in ufficio. Sui social sono state postate foto di tende da campeggio piazzate dietro le scrivanie, di sacchi a pelo allungati su file di sedie nelle sale riunioni.

Il problema più sentito è l’approvvigionamento alimentare. Le scorte nelle case sono quasi esaurite, a causa del prolungamento del lockdown, e le autorità non sono riuscite a organizzare le consegne a domicilio con regolarità. Ci sono state proteste documentate con video sui social media: gente affacciata alle finestre per urlare la frustrazione del confinamento, cori di «vogliamo lavorare, vogliamo libertà». Certo, la gente di Shanghai vuole solo tornare al proprio lavoro ed essere liberata dal lockdown. Ma Xi Jinping dal 2020 ha fatto passare il messaggio che è stato il Partito-Stato a salvare i cinesi dal caos della pandemia vissuto da Stati Uniti ed Europa. Ed è per evitare che la protesta salga fino a sfiorare il Partito che è arrivata la lettera aperta ai 313 mila tesserati affinché vigilino e «sfoderino la spada» in caso di bisogno.

Gli epidemiologi cinesi sono convinti di poter riportare la situazione sotto controllo in un paio di settimane «in teoria, se si prosegue con tamponi a tappeto ogni tre giorni per tutti». Ma anche per la Cina che si nutre di gigantismo, una sfida del genere sembra ardua. Analizzando le informazioni che arrivano dall’intera Cina, il gruppo di servizi finanziari Nomura ha valutato in 193 milioni i cinesi sottoposti a lokdown più o meno ermetici, in 23 città, che rappresentano il 22% del Pil cinese. La battaglia per evitare che Shanghai sia sopraffatta dall’ondata di Covid-19 rischia di diventare la crisi più grave del decennio di potere assoluto di Xi Jinping.

8 aprile 2022 (modifica il 8 aprile 2022 | 10:48)

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