Il concorso docenti e il divieto di usare la carta (ma non la penna): se questa è una prof

In questa rubrica vorrei occuparmi di altro ma purtroppo non posso ignorare le parole di una collega di Scienze che ha affrontato due settimane fa il concorso per docenti.

Di questo concorso vi avevo parlato di recente per denunciare l’inadeguatezza di un sistema di reclutamento insegnanti con un test a crocette.

Ecco la lettera che ho ricevuto.

«Sono docente di Scienze alle superiori da 8 anni. Nel 2019 ho conseguito (sette esami in un mese e mezzo) i crediti che siamo stati obbligati ad avere per poter partecipare al concorso ordinario che doveva svolgersi nell’estate di quell’anno, ma cade il governo e il concorso si blocca. Sarebbe dovuto ripartire con il ministro Fioramonti che però, a dicembre 2019, si dimette: secondo stop. Azzolina a fine dicembre annuncia il concorso che a febbraio 2020 si blocca per la terza volta per il Covid. Se ne va Azzolina e, fra mille ritardi e promesse, arriva il 2022: a febbraio Bianchi annuncia l’atteso concorso.

Si scopre che consisterà in un test a risposta multipla e i candidati non potranno usare carta e penna per svolgere le prove di matematica, fisica, chimica e informatica.

Perché non fare usare carta e penna per rispondere in 100 minuti a 50 domande con esercizi per i quali servono formule e conti?

Inoltre il test per la mia classe di concorso (Scienze alle superiori) si rivela diverso da quanto indicato dal Decreto: ci sono meno domande di scienze/biologia e più di chimica rispetto al numero dichiarato dal modello.

Gli esercizi richiedono di ricavare le formule senza la tavola periodica e di fare i conti con decimali ed esponenziali.

Per questo chiediamo carta e penna.

Ci viene detto che è vietato «scrivere su fogli».

Domando: «E la penna?».

Risposta: «La penna sì. Non potete usare fogli, ma se vuole può scrivere i calcoli sul banco o tatuarsi il corpo».

Basita, rispondo che voglio la penna, ma sul banco non si riesce a scrivere.

Comincia la prova che attendo dal 2019: ho studiato un’estate intera, sacrificato vacanze di Natale, di Pasqua e le notti degli ultimi due mesi. In tanti abbiamo preparato il concorso mentre stavamo lavorando e con una famiglia da accudire.

Comincio a scrivere sulle braccia: dopo cinque esercizi non ho più spazio. Non ho più parti del corpo scoperte da segnare.

Svolgo il test smarrita e umiliata.

Ma cosa siamo? Un concorso svolto sul corpo?

Finisce il tempo. Il tecnico d’aula verifica i risultati: tutti bocciati.

Il presidente di commissione commenta: «Non mi è mai capitato un concorso in cui in 2 giorni ci siano zero promossi».

Che senso ha prepararsi tanto per una prova che, speravo, potesse stabilizzarmi dopo anni di precariato, e trovarmi poi di fronte a un test a risposta multipla quasi totalmente centrato su una materia per la quale non ho deciso di concorrere e nel quale non posso svolgere degli esercizi come qualunque studente al mondo?

A questa vergogna si aggiunge la disparità di trattamento (per l’uso di carta e penna) in sedi concorsuali diverse.

Ce ne sarebbe abbastanza per annullare la prova.

Allego le foto (scattate, alla fine dell’esame, nel bagno della scuola in cui ho svolto il concorso) dei segni che porto nel corpo. E nell’anima. Segni che rimarranno in me. Il reclutamento nella scuola si può fare in questo modo vergognoso? In quale altro Paese europeo accadrebbe? Concorsi che hanno l’unica finalità di mantenere alto il numero dei precari che allo Stato costano meno dei docenti di ruolo, con classi che a marzo sono ancora senza docenti, reclutati poi tra studenti universitari per riuscire a coprire i buchi. Vogliamo rendere l’Italia consapevole di cos’è la scuola oggi? Aiutaci per favore a far emergere tutto il marcio che c’è. Abbiamo una dignità: come persone e come lavoratori al servizio dello Stato e della crescita dei suoi cittadini».

Al servizio dello Stato e dei cittadini.

Lo avrebbe sottoscritto Platone che nel suo dialogo intitolato il Politico ragiona proprio su chi sia chi governa e quale sia il suo compito. Per farlo narra un mito secondo il quale, all’origine, il cosmo era governato da Chronos (il Tempo) che provvedeva a tutto ciò di cui gli uomini avevano bisogno. Ma questa condizione beata, in cui il genere umano era oggetto di cura divina, aveva durata finita e, quando il movimento cosmico raggiunse la sua misura, Chronos si ritirò e lasciò libero il mondo: tutto quello a cui provvedeva divenne responsabilità umana.

Gli uomini però, incapaci di provvedere a se stessi, rischiavano l’estinzione, e gli dei allora intervennero donando loro «le tecniche» necessarie alla vita ma affidando al genere umano quello che era stato il compito di Chronos: «prendersi cura di sé da se stessi».

Il racconto mostra come, quando inizia il «tempo umano», cioè quello affidato a ciascun uomo, esso si declina come Cura: la condizione umana è «pro-curare» ciò che è necessario per conservare la vita e farla fiorire, infatti nessun essere sulla Terra ha un tempo di svezzamento così lungo come noi.

Da qui nasce la politica: la cura della comunità. L’umano è quindi incrocio di tecnica (dono divino da custodire) e cura (azione umana), dal contadino al ministro, dal soldato al medico, dal genitore al maestro. E anche se tutto, in qualche modo, è politica, il politico propriamente detto è colui che può assumere incarichi di governo perché è capace di cura e possiede le tecniche, cioè il sapere pratico necessario a realizzarla. Senza questa duplice dimensione di tecnica (sapere e saper fare) e di cura (rendere più viva la vita altrui) il politico (letteralmente colui che cura la polis, la comunità) non può fare il politico: in assenza di tecnica e di cura il governo diventa immediatamente controllo e violenza, come accade a qualsiasi educatore incapace.

Il mio essere insegnante è «politico» solo se conosco l’arte di insegnare e con essa faccio crescere gli studenti; il mio essere scrittore è «politico» se conosco l’arte di scrivere e con essa faccio crescere chi mi legge.

Questa lettera, una delle tante ricevute in queste settimane di concorsi, mostra come, nel nostro sistema di reclutamento scolastico, manchi proprio la «politica»: sono assenti la tecnica (test inadeguato a reclutare un professionista dell’educazione) e la cura (costrizione a scrivere sul proprio corpo). L’agire politico è sostituito da quello burocratico.

Un modo di governare corpi e anime inaccettabile a cui non ci ribelliamo forse perché non riusciamo più a farlo, presi come siamo dalla sopravvivenza. Ipnotizzati da una comunicazione centrata sul perenne stato di emergenza (pandemia, guerra…) che imprigiona nella paura anime e corpi, non curiamo ferite incancrenite: burnout dei docenti, precariato abnorme (20% dei docenti), numero di concorsi illegale (dal 2000 solo tre: per legge dovrebbero essere triennali), abbandono scolastico al 15%, scarso benessere degli alunni a scuola (il 75% dice di star male a scuola), edilizia scolastica inadeguata…

Questo governo, essendo più o meno trasversale, avrebbe potuto occuparsi del sistema scolastico portando a termine riforme su cui ci dovrebbe essere un «consenso» derivante dal «buonsenso», a prescindere dal colore politico: riforme che riguardano circa dieci milioni di persone (1 milione tra docenti e collaboratori e 9 milioni di ragazzi), un sesto della popolazione che ha bisogno di «cura».

Nel PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), varato dopo la pandemia per orientare i finanziamenti europei, gli articoli dedicati alla scuola sono solo quattro, nei quali non trovo soluzioni adeguate al reclutamento docenti. Vi si propone l’introduzione di una scuola di formazione, l’ennesimo organo centralizzato e burocratico lontano dalle esigenze reali della scuola (quando ho preso l’abilitazione io c’era una scuola di specializzazione di due anni che poi fu abolita), non si parla della carriera dei docenti, se non con le solite generiche promesse di oboli a pioggia. Un’occasione probabilmente persa.

Platone definisce la politica «arte di allevare gli esseri umani in comunità», ma il verbo «allevare» vuol dire far crescere e non trattare come bestie da macello, «marchiate» nel corpo e nell’anima.

30 maggio 2022, 06:52 – modifica il 30 maggio 2022 | 13:39

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