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I vincitori del World Press Photo

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Sono stati annunciati i vincitori della 65esima edizione del World Press Photo, il concorso di fotogiornalismo più importante al mondo, che da quest’anno ha riorganizzato i suoi criteri di partecipazione e valutazione. Se fino all’anno scorso il concorso assegnava due premi principali – il World Press Photo of The Year e il World Press Photo Story of the Year –, da quest’anno i premi principali sono quattro: il World Press Photo of the Year, per la migliore foto singola, vinto da Amber Bracken con la foto Kamloops Residential School; il World Press Photo Story of the Year, per la migliore storia, vinto da Matthew Abbott con il lavoro Saving Forests with Fire; il World Press Photo Long-Term Project Award, per il miglior progetto a lungo termine, vinto da Lalo de Almeida con Amazonian Dystopia; e il World Press Photo Open Format Award, per il miglior progetto Open Format, vinto da Isadora Romero per Blood is a Seed.

World Press Photo of the Year

La foto della canadese Amber Bracken mostra una fila di abiti appesi a croci di legno lungo una strada, in ricordo dei bambini morti presso la Kamloops Indian Residential School, in seguito al rilevamento di 215 presunte tombe non contrassegnate che potrebbero appartenere a bambini che frequentarono la scuola, a Kamloops, in British Columbia.

La Kamloops Indian Residential School fu una delle istituzioni create per integrare i bambini indigeni, le cosiddette scuole residenziali, che iniziarono ad operare nel Diciannovesimo secolo come parte di una politica di integrazione forzata nella cultura occidentale dei coloni e dei missionari europei, rivolta a persone provenienti da varie comunità indigene. Più di 150mila studenti furono allontanati con la forza dalle loro case e dai genitori, spesso vietando loro di comunicare, e furono oggetto di abusi fisici e talvolta sessuali.

Una Commissione per la verità e la riconciliazione ha stabilito che più di 4mila studenti sono morti mentre erano nelle scuole, tra cui la Kamloops School. Nel maggio 2021, un’indagine che utilizzava un radar a penetrazione del suolo ha identificato 215 luoghi di sepoltura nella zona. Rena Effendi, presidente della giuria, ha detto di questa foto: «È un tipo di immagine che si insinua nella tua memoria, ispira una sorta di reazione sensoriale. Potevo quasi sentire la quiete in questa fotografia, un momento tranquillo di resa dei conti globale per la storia della colonizzazione, non solo in Canada ma in tutto il mondo».

World Press Photo Story of the Year

Saving Forests with Fire, © Matthew Abbott, per National Geographic/Panos Pictures, World Press Photo

Saving Forests with Fire è il lavoro del fotografo australiano Matthew Abbott che racconta la pratica degli indigeni australiani di incendiare il terreno, chiamata anche “cool burning”, “combustione a freddo”, in cui le fiamme si muovono lentamente, bruciano solo il sottobosco e rimuovono l’accumulo di residui vegetali che potrebbero alimentare grandi incendi.

La comunità Nawarddeken di West Arnhem Land, in Australia, attua questa pratica da migliaia di anni e vede il fuoco come uno strumento per gestire la propria terra natale di 1,39 milioni di ettari. I ranger di Warddeken combinano le conoscenze tradizionali con le tecnologie contemporanee per prevenire gli incendi, contrastando così la produzione di CO2.

La serie ha vinto nella categoria Storie, che premia una storia con eccellenti editing e sequenza fotografici, su un grande evento o una questione di rilevanza giornalistica. Nel commentare la scelta, sempre la presidente di giuria ha spiegato come nel caso di Abbott le immagini siano state messe insieme talmente bene da diventare una narrazione senza soluzione di continuità.



World Press Photo Long-Term Project Award

Amazonian Dystopia del brasiliano Lalo de Almeida, realizzato per Folha de São Paulo/Panos Pictures, parla dei rischi a cui è sottoposta la foresta pluviale amazzonica, gravemente minacciata da deforestazione, estrazione mineraria, sviluppo infrastrutturale e sfruttamento delle risorse naturali, che aumentano anche a causa delle politiche regressive dal punto di vista ambientale del presidente brasiliano Jair Bolsonaro.

Dal 2019, la devastazione dell’Amazzonia brasiliana ha registrato il ritmo più veloce degli ultimi dieci anni. Area di straordinaria biodiversità, l’Amazzonia ospita più di 350 diversi gruppi indigeni: il suo sfruttamento ha una serie di conseguenze sociali, in particolare sulle comunità che devono far fronte al degrado significativo del loro ambiente, così come del loro modo di vivere. Il lavoro mostra inoltre come questo fenomeno inneschi una catena di reazioni a livello globale.



World Press Photo Open Format Award


Open Format è la nuova categoria introdotta in questa edizione che include diversi tipi di utilizzo dell’immagine e in cui però la fotografia è comunque predominante (come immagini a esposizione multipla; collage; documentari interattivi; brevi video documentari).

A vincere il premio è stato il progetto Blood is a Seed di Isadora Romero (Ecuador): è un video composto da fotografie digitali e su pellicola, che parla della scomparsa dei semi, della migrazione forzata, della colonizzazione e della conseguente perdita di conoscenze ancestrali. La fotografa esplora i territori nei pressi del comune di Une, nel dipartimento di Cundinamarca (Colombia), anche attraverso i ricordi dei suoi nonni e bisnonni che definisce “custodi di semi”: coltivavano diverse varietà di patate, di cui solo due si possono ancora trovare.

Il progetto è stato premiato per la varietà di livelli narrativi grazie “all’uso di audio, video, immagini fisse e sequenze”. Si può vedere qui.

World Press Photo Open Format Award Blood is a seed, © Isadora Romero

A differenza degli anni precedenti, quando era organizzato in categorie tematiche (come ad esempio News, Sport, Ritratti e Ambiente, tra le altre), ora il concorso è suddiviso in sei aree geografiche, divise a loro volta in quattro categorie in base al formato dell’immagine.

Le sei regioni geografiche sono Africa, Asia, Europa, America del Nord e Centrale, America del Sud, Sudest Asiatico e Oceania. Inviando le foto al concorso, i fotografi hanno gareggiato nella regione in cui le avevano scattate. Ogni regione è stata divisa poi in quattro categorie in base al formato dell’immagine, cioè: Singole (fotografie a esposizione singola); Storie (una storia composta da 3-10 fotografie); Long-term Projects (progetti a lungo termine su un unico tema contenenti tra le 24 e le 30 fotografie); e Open Format, una nuova categoria che include diversi tipi di utilizzo dell’immagine e in cui però la fotografia è comunque predominante (come immagini a esposizione multipla; collage; documentari interattivi; brevi video documentari).

I quattro vincitori globali annunciati oggi sono stati scelti tra i 24 vincitori regionali che erano stati annunciati settimane fa.

La fondazione del World Press Photo ha spiegato di aver scelto di seguire una suddivisione in aree geografiche nel tentativo di essere più inclusiva e correggere “uno squilibrio nella rappresentanza tra partecipanti, storie e vincitori”. Nella gallery qui sotto ci sono i vincitori regionali dell’edizione e quelli che hanno guadagnato una Menzione d’onore, per lavori che secondo l’organizzazione meritavano un riconoscimento.



Per selezionare i vincitori i giudici hanno esaminato quasi 65mila fotografie da circa 4mila fotografi provenienti da 130 paesi. I finalisti sono stati scelti da una giuria regionale formata da esperti della zona geografica in questione, mentre il compito di stabilire i vincitori regionali e globali è stato assegnato a una giuria generale, o “globale” per l’appunto, composta dai presidenti di ciascuna giuria regionale. La giuria globale del concorso di quest’anno è stata presieduta dalla fotografa azera Rena Effendi, e composta da N’Goné Fall per l’Africa; Tanzim Wahab per l’Asia; Simona Ghizzoni per l’Europa; Clare Vander Meersch per l’America del Nord e Centrale; Ernesto Benavides per il Sud America; e Jessica Lim per il Sudest asiatico e l’Oceania.

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