I grillini all’ultima spiaggia si consegnano a Di Battista
25 Luglio 2022 – 06:00
Scongelato il barricadero rimasto ai tempi del “Vaffa”. Il partito a pezzi ora lo vorrebbe leader pur di salvarsi
Se ci fosse un termometro in grado di misurare il tasso della disperazione grillina, il suo livello massimo si chiamerebbe senza dubbio Di Battista. E, infatti, i pentastellati dopo aver aperto la crisi di governo salvo poi fuggire dalle proprie responsabilità, con un Luigi Di Maio sempre più scatenato negli attacchi ai suoi ex compagni e un partito allo sbando e preda di personalismi interni, hanno tirato fuori proprio il nome di Alessandro Di Battista come «nuovo» leader. Che è l’ultima spiagga, non quella di Capalbio, anche se molti grillini si sono già arenati da quelle parti. Lui, l’anima sinistra e terzomondista del movimento, il pacifista che flirta con dittature e teocrazie, il gemello diverso di Di Maio dai tempi dell’inizio dell’avventura pentastellata, lui che – proprio sul più bello – ha deciso di fermarsi per un giro e non entrare in un Parlamento che dai 5 Stelle era dominato. Di Battista il piacione, l’intellettuale fai da te che confeziona reportage commossi e partecipi per il Fatto quotidiano, l’unico all’interno del Movimento che – con una certa ragione – può dire di essere rimasto puro. O, forse, più correttamente di non essersi evoluto. Sì, perchè in Di Battista tutti i difetti del grillismo delle origini si sono fossilizzati. É come se lo avessero surgelato cinque anni fa e ora avessero riaperto il congelatore: una bella sbrinata ed è pronto per tornare in pista come se fosse nuovo di zecca. Non è cambiato nulla nel suo pantheon ideologico che va da Che Guevara a Beppe Grillo, passando per Maduro e gli ayatollah iraniani.
Così, i duri e puri grillini, ora si sono messi in testa che l’unica soluzione per uscire dall’impasse nella quale si è incastrato il Movimento sia il ritorno alle origini con l’usato garantito di Dibba. Che è un po’ come vestire un vecchio da ragazzo pensando che ringiovanisca. E lui è lì che gongola: «Torno o non torno?», ripete sfogliando il fiore, perché in fondo è anche un hippy fuori tempo massimo: colleziona un po’ tutte le ideologie vintage di sinistra. D’altronde, va ammesso, mentre tutti gli altri si divertivano nel luna park dei palazzi del potere, arraffavano poltrone, stipendi e posti al sole, lui se andava in giro coi sandali bucati per le periferie del mondo convincendosi che fossero il paradiso in terra. Ora è il suo momento, anche se più che il leader dovrebbe fare il curatore fallimentare, visto il bilancio politico dei cinque stelle.
Il rischio è che vengano polverizzati anche i piccoli miglioramenti che la vita parlamentare aveva apportato al grillismo più ruspante. Con Di Battista gli imprenditori ridiventerebbero prenditori, il capitalismo e il liberismo sarebbero considerati come sterco del demonio, il reddito di cittadinanza verrebbe ulteriormente esasperato e la filosofia del «vaffa» tornerebbe prepotentemente alla ribalta, il pauperismo e la decrescita felice sarebbero esaltati e il travaglismo diverrebbe il Vangelo.
Con il Dibba il Movimento tornerebbe all’anno zero, anche quello di Santoro, probabilmente. Il problema è che in questi anni lui è rimasto immobile, fermo, granitico nelle sue posizioni di retroguardia. Ma tutto il resto del mondo si è mosso. Persino il Movimento 5 Stelle.