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Guida al ballottaggio delle elezioni presidenziali francesi

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Domenica si vota per il secondo turno delle presidenziali francesi. Al ballottaggio sono arrivati Emmanuel Macron e Marine Le Pen, proprio come l’ultima volta, nel 2017. In alcuni dipartimenti e comunità d’oltremare la votazione sarà anticipata di un giorno, dunque il 23 aprile, per tener conto della differenza di fuso orario. I risultati provvisori saranno comunicati in serata, a partire dalle 20 quando chiuderà l’ultimo seggio e lo spoglio dovrebbe procedere piuttosto velocemente, come di solito avviene al secondo turno.

L’insediamento del nuovo presidente dovrà poi avvenire entro e non oltre l’ultimo giorno del mandato del presidente uscente, ovvero il 13 maggio.

Che cosa ci dicono i sondaggi, oltre i numeri


Al ballottaggio del 2017 Macron prese il doppio dei voti di Le Pen, mentre oggi, stando ai sondaggi, lo scarto fra i due è decisamente più ridotto. Ce ne sono alcuni che dicono che sono solo otto i punti che separano la candidata dell’estrema destra dal presidente uscente, mentre altri danno a Macron un margine un po’ più ampio.

L’inchiesta commissionata e pubblicata da Le Monde il 20 aprile – dunque prima del dibattito televisivo tra Macron e Le Pen che è finito a favore del primo – ha coinvolto più di 12 mila persone, un campione piuttosto ampio, e il margine di errore risulta molto piccolo, pari a circa l’1,1 per cento. Macron è stato dato al 56% contro il 44 di Le Pen, e gli intervistati erano molto sicuri del voto a suo favore: 93% contro l’89 di quelli intenzionati a votare Marine Le Pen. Tuttavia, precisa Le Monde, è necessario fare attenzione perché per il presidente uscente, dai dati, emergono diverse difficoltà.

L’estrema destra, innanzitutto, non è mai stata così forte: i suoi tre candidati (Marine Le Pen, Éric Zemmour e Nicolas Dupont-Aignan) hanno raccolto oltre il 32 per cento dei voti al primo turno e Le Pen non è mai risultata così in alto a pochi giorni dal voto. Il risultato al primo turno di Le Pen – che ha guadagnato due punti rispetto al 2017 – appare ancor più notevole perché, per la prima volta, ha avuto una concorrenza all’interno del proprio spazio politico. Nonostante le sue tre candidature, l’estrema destra è dunque nettamente avanzata.

Il secondo rischio, per il presidente uscente, è di venire rieletto «per mancanza di qualcosa di meglio», e di vincere in gran parte perché gli elettori e le elettrici si stanno mobilitando contro Le Pen, ma senza aderire con convinzione al suo progetto.

I dati favorevoli a Macron possono insomma nascondere o mancanza di entusiasmo o rassegnazione. Quando alle persone intervistate è stato chiesto quali siano le motivazioni del loro voto, il 36% degli elettori di Macron ha detto di voler scegliere il presidente uscente «perché ha fiducia in lui», il 25 perché Macron è «il più vicino alle proprie idee», e il 39 per «sbarrare la strada all’altra candidata». La motivazione principale è quindi quella di bloccare Marine Le Pen.

Un meccanismo simile, dicono le previsioni, si verificherà anche a favore della candidata di estrema destra, con la differenza però che nel suo caso la motivazione che ha la percentuale più alta è propositiva e non oppositiva.

La terza fragilità per il favorito delle elezioni è quella di sembrare slegato da alcune preoccupazioni dei francesi. Emmanuel Macron è percepito come meno in grado di comprendere i problemi delle persone (25% contro il 46 di Marine Le Pen) e appare come meno desideroso di cambiare le cose rispetto alla candidata di estrema destra (41% contro il 63).

Macron compensa invece queste debolezze con una posizione presidenziale molto più forte (64% contro il 39 di Le Pen). Il 62% lo ritiene in grado di affrontare una crisi grave (contro il 34 della candidata di Rassemblement National) e il 61% lo ritiene in grado di dare una buona immagine della Francia all’estero (26 per la candidata RN).

In tutto questo, l’astensione si preannuncia significativa. Il 79% delle persone intervistate si dice interessato alla campagna, 6 punti in meno rispetto alle ricerche sul secondo turno di cinque anni fa. E il 24% dice infine di non volere la vittoria di nessuno dei due candidati finiti al ballottaggio.

Né Macron né Le Pen


Vari candidati e candidate hanno dato indicazioni esplicite di votare Macron al ballottaggio. Tra loro: Valerie Pécresse, del partito di centrodestra Les Républicains (4,78% al primo turno), Yannick Jadot, il candidato ecologista (4,63%), il comunista Fabien Roussel (2,28), e la socialista Anne Hidalgo, sindaca di Parigi (1,75).

Si tratta però di un bacino di voti piuttosto piccolo e poco solido: il crollo dei partiti storici della politica francese priva infatti Macron di un trasferimento quasi automatico di voti. Marine Le Pen, a differenza di Macron, ha invece una riserva di voti assicurata: quelli di Éric Zemmour, il candidato di estrema destra che ha ottenuto il 7,05% e quelli di Nicolas Dupont-Aignan (2,06% al primo turno).

La vera incognita, per Macron, saranno i sostenitori e le sostenitrici di Jean-Luc Mélenchon, che negli ultimi cinque anni si sono mobilitati con molta forza contro la politica economica, sociale o sanitaria del presidente uscente e la cui parte giovanile ha preso parola anche tra il primo e il secondo turno con proteste e occupazioni di scuole e università. L’area politica dell’estrema sinistra vale oggi il 21,95%, ed è dunque di fatto diventata l’arbitro del confronto tra Le Pen e Macron.

Secondo la ricerca Ipsos del 19 aprile, solo il 39% dei sostenitori di Jean-Luc Mélenchon voterà Macron: il 16% dice che voterà Le Pen mentre il 45 ha detto di volersi astenere.

La logica conseguenza di questa situazione è che l’astensione si preannuncia significativa. Le persone che si dichiarano “certe” e “quasi certe” di andare a votare sono il 79%, ovvero 5 punti in meno rispetto al 2017.

Che cosa hanno fatto Macron e Le Pen


Tra il primo turno e il secondo turno, il presidente ha di fatto avviato la propria campagna elettorale a cui, fino a quel momento, si era in qualche modo sottratto per impegni presidenziali. Ha moltiplicato gli incontri e i viaggi anche in zone a lui non favorevoli, in particolare dove Le Pen va più forte o dove va molto forte l’estrema sinistra.

Se nel 2017 Macron si era presentato da indipendente e aveva evitato qualsiasi definizione (diceva di non essere «né di destra né di sinistra») mettendo in crisi, soprattutto, parte della sinistra moderata di cui aveva raccolto i voti, una volta diventato presidente si è spostato decisamente a destra assorbendo già gran parte della fiducia di chi, fino a quel momento, aveva fatto riferimento a quell’area politica.

I voti che gli serviranno ora per vincere sono dunque in gran parte a sinistra ed è proprio agli elettori e alle elettrici di sinistra e ambientalisti che Macron si è rivolto in queste ultime due settimane. Durante il suo discorso tenuto a Marsiglia il 16 aprile, ha parlato ad esempio di «progettazione ecologica» e anche «di un avvenire in comune», riprendendo direttamente le espressioni usate da Jean-Luc Mélenchon. Ha fatto qualche passo indietro sulla riforma delle pensioni inizialmente proposta, uno dei grandi temi cari alla destra presenti nel suo programma, ha cambiato posizione sugli stipendi degli insegnanti (estendendo a tutti un potenziale aumento dello stipendio), e ha molto insistito sui punti di accordo con Mélenchon e Jadot in tema di ecologia.

L’altra sua strategia è stata quella di riportare Marine Le Pen (molto attenta, invece, a dare di sé un’immagine di equilibrio e credibilità) nel suo campo politico, quello dell’estrema destra, ribadendo che la radicalità del suo programma non si è affatto modificata, a dispetto delle apparenze. Macron ha chiamato a raccolta tutte le persone preoccupate dalla minaccia nazionalista rappresentata dalla sua avversaria, presentando al contempo se stesso come l’unico baluardo contro questo pericolo.

La stessa strategia, ma al contrario, è stata usata da Le Pen, che dopo aver lavorato per una propria normalizzazione e dopo essere uscita di fatto sconfitta dal confronto in tv con Macron, negli ultimi giorni ha ritrovato toni e atteggiamenti di un tempo.

Nel suo ultimo comizio di giovedì 21 aprile ad Arras, nel dipartimento di Pas-de-Calais, dopo aver elencato i «fallimenti» del mandato di Macron e i suoi risultati «catastrofici» sul fronte economico, Le Pen ha concentrato l’intervento sulla personalità del presidente uscente attaccandolo senza riserve con molta aggressività e riportando al centro del suo discorso questioni su cui non aveva affatto insistito durante la campagna elettorale: l’immigrazione e la difesa dell’identità francese.

Le elezioni legislative


In Francia il presidente della Repubblica ha molti poteri, ma per sfruttarli appieno ha bisogno di una maggioranza all’Assemblea Nazionale, il parlamento. Il presidente, infatti, nomina il primo ministro, e su suo suggerimento i ministri: per questo le elezioni legislative che si terranno su doppio turno il 12 e il 19 giugno saranno particolarmente delicate, e importanti per chi vincerà.

In passato è accaduto diverse volte che il presidente della Repubblica e il capo del governo appartenessero a partiti diversi (la cosiddetta “cohabitation”). L’ultima è stata tra il 1997 e il 2002, quando il presidente era Jaques Chirac, leader del centrodestra, e il primo ministro era Lionel Jospin, capo del Partito Socialista. In questa situazione i poteri del presidente della Repubblica sono molto limitati, al punto, sostengono alcuni esperti, da rendere la Francia una repubblica parlamentare di fatto.

La vittoria presidenziale è quindi un passo necessario per Emmanuel Macron e Marine Le Pen, ma tutt’altro che sufficiente. Quasi tutte le misure promesse dai due candidati potranno infatti essere attuate solo se chi diventerà presidente otterrà anche la maggioranza in Assemblea Nazionale alle elezioni legislative.

In questi ultimi giorni Mélenchon ha avviato la propria campagna elettorale chiedendo ai francesi di “eleggerlo” primo ministro votando la coalizione di cui è leader: «Le elezioni legislative del prossimo giugno sono come un terzo turno», ha detto puntando tutto su un futuro di coabitazione. La sua strategia è «convincere gli astensionisti», chi non vorrebbe né Macron né Le Pen, e le varie forze della sinistra che alle presidenziali si sono presentate separate a unirsi intorno a un programma comune. Le trattative sono già in corso.

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