Guerra in Ucraina, tonnellate di grano ferme sul Mar Nero: rischio di una «crisi globale della fame»
agricoltura
di Enrico Marro08 mag 2022
Guerra in Ucraina. Porti bloccati nella stessa regione e, come se non bastasse, paralisi del porto di Shanghai, il più grande del mondo, per via del Covid. Fenomeni ricorrenti di siccità e carestia causati dal riscaldamento globale. Inflazione galoppante, cominciata già prima del conflitto scatenato dalla Russia. Tutto questo crea una miscela esplosiva per i mercati agroalimentari mondiali, che si somma agli sconvolgimenti sui mercati del petrolio e del gas. Il World food program (Wfp) dell’Onu lancia l’allarme «per evitare che la crisi globale della fame sfugga al controllo». Secondo la stessa agenzia, agli attuali 276 milioni di persone che nel mondo, dopo la pandemia, soffrono la fame (prima del Covid erano 135 milioni) rischiano di aggiungersene 47 milioni. «I silos di grano dell’Ucraina sono pieni. I porti sul Mar Nero sono bloccati, lasciando milioni di tonnellate di grano intrappolate in magazzini a terra o su navi che non possono muoversi», spiegano ai piani alti del Wfp.
Una superpotenza agricola in ginocchio
Il direttore esecutivo, David Beasley, lancia un appello ad «aprire i porti per fare in modo che il cibo possa muoversi da e per l’Ucraina. Il tempo sta per scadere e il costo sarà più alto di quanto si possa immaginare». Come sottolinea Sébastien Abis, ricercatore dell’Iris, l’istituto francese per le relazioni internazionali e strategiche, e direttore del Club Demeter, think tank animato da 74 aziende agroalimentari, «se la guerra non termina subito, i primi a soffrire dei danni alle produzioni agricole saranno gli ucraini e subito dopo i Paesi più dipendenti dalle importazioni di grano da Kiev». L’Ucraina, aggiunge Abis, autore del libro «Géopolitique du blé – Un produit vital pour la sécurité mondiale», «è una superpotenza agricola, che ora non esporta più», causando involontariamente sia la scarsità di prodotto sia l’inflazione. Il mercato mondiale del frumento tenero è fortemente influenzato da Russia e Ucraina che esprimono rispettivamente, il 21% e il 10% delle esportazioni mondiali. L’export di frumento tenero russo e ucraino va soprattutto verso il Nord Africa e il Medio Oriente. Dipendono dalle importazioni ucraine Paesi che hanno già problemi di tutti i tipi: Egitto, Indonesia, Bangladesh, Turchia, Tunisia, Marocco, Yemen e Libano. L’Ucraina, inoltre, pesa per il 15% nelle esportazioni globali di mais, usato soprattutto nei mangimi animali.
Prezzi dei cereali ai massimi storici
Per quanto riguarda il nostro continente, Mario Draghi, intervenendo il 3 maggio al Parlamento di Strasburgo (LEGGI il suo intervento QUI), ha ricordato che «l’Ucraina è il quarto maggior fornitore estero di cibo nell’Unione europea. Ci invia circa metà delle nostre importazioni di granoturco, e un quarto dei nostri oli vegetali. Russia e Ucraina contano per oltre un quarto delle esportazioni globali di grano. Quasi 50 Paesi del mondo dipendono da loro per più del 30% delle proprie importazioni. A marzo i prezzi dei cereali e delle principali derrate alimentari hanno toccato i massimi storici. C’è un forte rischio che l’aumento dei prezzi, insieme alla minore disponibilità di fertilizzanti, produca crisi alimentari».
La situazione italiana
Né in Europa né in Italia c’è un problema immediato di approvvigionamenti, al contrario del Nord Africa, del Medio Oriente: su questo gli esperti sono concordi. Il nostro Paese riceve da Russia e Ucraina solo il 5% delle importazioni globali di grano tenero, il 15% per quanto riguarda il mais e il 13% per i fertilizzanti. Forte è invece l’import di olio di semi di girasole, circa il 46%, di cui l’Ucraina è tra i primissimi produttori al mondo, ma si tratta di un prodotto sostituibile con altri. Ma tutto questo non ci mette al riparo dall’aumento fortissimo dei prezzi di queste merci, che infatti riscontriamo tutti i giorni facendo la spesa.
Combattere lo spreco alimentare
È evidente, quindi, che così come la guerra ha aperto gli occhi all’Unione europea sull’urgenza di dotarsi di una politica comune di difesa e di una politica comune sull’energia (comprese le scelte sul nucleare), anche sul piano agroalimentare è necessario dare un respiro strategico alla politica europea, con l’obiettivo da un lato di aumentare le produzioni, pur salvaguardando la sostenibilità ambientale, dall’altro di essere sempre più indipendenti dalle importazioni da Paesi a rischio. Infine, come sottolinea Caterina Batello, che vanta un’esperienza ventennale alla Fao come Team leader per l’Agroecologia, diventa più che mai fondamentale «combattere lo spreco alimentare». Secondo la stessa Fao, organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, durante la catena di produzione alimentare ben il 30% dei prodotti destinati alle nostre tavole viene sprecato. Non solo, anche quando i prodotti raggiungono i centri di distribuzione e successivamente i nostri frigoriferi e le nostre tavole, una percentuale difficile da calcolare finisce nella spazzatura. Ciascuno di noi può fare la sua parte. È urgente, dice Batello, che nei Paesi più ricchi, ci sia «un cambiamento dei modelli alimentari: per esempio, mangiamo ancora troppa carne» e questo produce enormi conseguenze, spingendo tra l’altro la deforestazione e la richiesta di mais.
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