Gianna Parenti: “Noi trans la tendenza alla trasformazione ce l’abbiamo innata”
“Quelle come me“, un recente libro di Andrea Meroni e Luca Locati Luciani (PM Edizioni) ricostruisce un film assai importante del 1970, Splendori e miserie di Madame Royale, primo a portare in scena il mondo, fino ad oggi perseguitato, delle drag queen. Un capolavoro di Vittorio Caprioli con protagonista Ugo Tognazzi, in cui compariva anche, in un piccolo cameo, Gianna Parenti (1945-2019), nata a Sesto Fiorentino, tra le prime transessuali in Italia, che qui interpreta il ruolo di una contessa invadente, con crinoline, parrucche e gran bastone di rappresentanza – in stile Versailles – intenta a litigare con la gran primadonna drag della storica compagnia dei Legnanesi, la biondissima Mabilia.
I problemi al lavoro e gli ostacoli per reinserirsi nella società
Nel 1977 ne L’Italia in pigiama di Guido Guerrasio, Parenti era finalmente nelle vesti di sé stesso. Il documentario aveva come tema I costumi sessuali delle tribù italiane (così recita il sottotitolo). Gianna compariva in camerino con un abito décolleté con non poche trasparenze, e una collana imponente. Dichiarava, categorica: “Io sono d’accordo (alla domanda su sesso e amore dell’intervistatore), ma noi abbiamo tanti problemi, prima di tutti forse il più grosso, il reinserimento nella società che molto spesso non avviene a causa dell’ignoranza e di una curiosità morbosa da parte delle persone. E seconda cosa di poi, anche nell’ambiente di lavoro noi siamo molto ostacolate, quando devono fare un contratto importante preferiscono affidarlo a un nome oscuro, a una che non è una vedette, nemmeno un’artista, ma lei è nata a quel modo, è una cosa davvero fastidiosa”.
“Noi trans abbiamo la tendenza alla trasformazione”
Una requisitoria seguita da un numero di varietà, con una dedica a Sesto Fiorentino e ai suoi amici di là. Come ha raccontato la sua storia a Porpora Marcasciano, nel fondamentale volume di storia delle transessuali “Tra le rose e le viole” (2002, da poco riedito da Edizioni Alegre), la scena era stata il suo destino. “Quando ho cominciato l’esperienza trans, dopo circa un anno da Firenze sono andata a vivere a Parigi, e i miei vent’anni li ho passati lì. Appena arrivata sono stata ingaggiata nella troupe del Carousel, che era il posto più famoso del mondo per le trans e i travestiti. Era un locale dalle parti di Montmartre, in cui si faceva teatro, cabaret e tante altre cose. Lì ho conosciuto le amiche trans che mi hanno fatto da maestre. C’era chi ti insegnava a truccarti, chi a pettinarti, i trucchi del vestirsi, come nascondere i difetti e accentuare le virtù, e noi trans in questo ne sappiamo una più del diavolo: del resto la tendenza alla trasformazione ce l’abbiamo innata. C’era anche tanta cattiveria e tanta invidia che non sono mai mancate in certi ambienti, anzi a volte erano la regola! Sono le dinamiche del mondo dello spettacolo, del resto le trans vivono nel mondo dello spettacolo, se non si sentissero eternamente sopra un palcoscenico, sarebbero in crisi”.
Eva von Pigalle a scuola degli strass e delle piume
A Parigi, sulla scena piccola di Madame Arthur, e in molti altri teatri del mondo, era stata Eva von Pigalle, nome che dava al suo personaggio un tocco di esotismo, per competere con le celebrità del luogo, in cui si era rivelata Coccinelle. I nomi erano quelli della Zambellà, Sciu Sciu, Bambi. In seguito ebbe modo di confrontarsi in scena a fianco di Carlo Cecchi ne La mandragola. “Essere artista mi ha aiutato molto nell’estetica, ricordo che avevo i costumi più belli di tutti perché li disegnavo da me, avevo molto estro e creatività, quindi mi distinguevo sempre dalle altre, anche ai tempi del Carousel. Il vestito più bello che mi ricordo, di quando stavo in Italia, era una crinolina nera anni Cinquanta, di tulle, larghissima, lunga fino a terra. Ho un baule pieno di costumi e corone di strass, quando lo apro è tutto un luccichìo e mille ricordi! A me poi piaceva usare questi costumi esagerati con gli strass di mezzo. La mia formazione è stata parigina e quindi la mia scuola sono state les Folies Bergères: la scuola degli strass e delle piume. Ho ancora dei ventagli enormi di piume. Anche il trucco mi appassionava: lo facevo benissimo, sia quello esagerato da sera o da spettacolo che quello sobrio e raffinato per prendere il tè con le amiche. Oggi non mi trucco più, sono truccata per troppo tempo, lo faccio solo nelle grandi occasioni come per l’ultimo dell’anno o se vado una sera a teatro, e anche in questi casi uso solo un trucco leggero. Ora preferisco essere acqua e sapone!”.
L’attivismo per il riconoscimento delle persone transessuali
Abbandonata la scena, Eva von Pigalle è diventata una attivista del Partito Radicale e poi del Movimento Italiano Transessuali, di cui è stata presidentessa. È stata ricordata nell’edizione 2019 del Florence Queer Festival, con una mostra a cura di Sandra Nastri, in cui erano presentati i suoi abiti di scena, creati dalla Sartoria Teatrale Antonietta, mentre l’archivio IREOS ha alcuni documenti sul suo percorso biografico. Negli anni successivi il suo profilo è stato quello di una attivista, in prima fila per richiedere la legge n. 164 del 1982 che ha definito la presenza delle persone transessuali nella società italiana. Da sempre pittrice di ceramiche, aveva realizzato una mostra dei suoi piatti acquarellati al Piccolo Cafè nel 2007, rendendo omaggio a una tradizione che faceva capo alle produzioni ottocentesche della sestese Richard Ginori.