Gianmarco Tognazzi e la pasta: “Come papà Ugo soffro di spaghettite”
Se fossi su un’isola deserta e potessi portare con te solo un alimento, che cosa sceglieresti? La pasta! La maggior parte degli italiani non ha dubbi. Non li ha neanche Gianmarco Tognazzi, attore, produttore vitivinicolo nella sua azienda La Tognazza, grande appassionato di buon cibo, anche in questo figlio d’arte: memorabili le cene, nella casa di famiglia a Velletri, del padre Ugo, con ospiti del mondo del cinema e artisti. “La pasta in assoluto è per me l’alimento imprescindibile, dipendesse solo da me la mangerei tutti i giorni a pranzo e cena”, racconta l’attore – in questi giorni impegnato sul set di del film Lo Sposo Indeciso che non poteva (o forse non voleva) più uscire dal bagno, scritto e diretto da Giorgio Amato – facendosi portavoce di una passione che accomuna trasversalmente gli italiani.
Tognazzi, perché la pasta è così amata dagli italiani e nel mondo?
“Non ha rivali, si accompagna con pesce, carne, verdure, è un’ottima alternativa al pane con cui ha molto in comune. Con il condimento si possono fare composizioni infinite. Ugo nel suo primo libro Abbuffone scrive: “Sono malato di spaghettite”, be’ questa “malattia” ce l’ha tramandata. E se si pensa alle variabili, dai timballi alle lasagne, integrale, di kamut, con i vari formati che influiscono su gusto e consistenza… be’, ci si rende conto che è un’invenzione geniale. Che poi nasca in Oriente è un’altra storia, ma è qui che con grano e uovo s’è trovata la formula perfetta, che scatena la fantasia. E l’Italia è diventato il Paese della pasta per eccellenza. A volte viene considerata inflazionata, ma i pastifici artigianali l’hanno rilanciata. E quando non sai che fare, un piatto di pasta ti salva sempre”.
Suo padre Ugo ne ha fatto un simbolo di italianità, pasta fa rima con convivialità?
“Pensiamo al torneo di tennis che Ugo faceva a Torvaianica: si chiamava “Lo scolapasta d’oro”, vi partecipavano attori, registi, giornalisti. Con la scusa di giocare poi si faceva un bel banchetto e il vero premio era lo spaghetto a mezzanotte preparato da lui. Il torneo l’aveva chiamato così per prendere in giro “l’insalatiera” d’argento degli inglesi; Ugo diceva: “Io sono italiano, e faccio lo scolapasta d’oro”, per lui era un simbolo di identità italiana”.
Molti dicono che crea assuefazione, a lei che effetto fa?
“La pasta ha un potere magico: dopo averla mangiata mi sento appagato. Se non mangi per fame, diventa gusto, assaggio. Se invece hai il languore… Io ne mangio 250 grammi! Un’abbondanza figlia delle cene di Ugo a Velletri: veri banchetti con due primi, due secondi fino a 6 portate. Tutt’oggi le litigate più grandi con mia sorella Maria Sole avvengono quando si mangia insieme perché lei fa porzioni eque, ma io ne vorrei sempre di più, almeno altre 4 forchettate per un bis!”.
In famiglia chi cucina?
“Mio fratello Ricky è bravo, ma con lui mi capita di mangiare meno frequentemente. Vedo invece spesso a tavola Sergio Cammariere e Fausto Sciarappa, ma chi ha il dono da re dei fornelli è Marco Minetti, attore e grande chef, il migliore dopo mio padre”.
Che cosa pensa dell’abbinamento col vino e in particolare con i suoi della Tognazza?
“La pasta ha una tale variabilità da trovare il giusto abbinamento anche con il vino con cui va a braccetto. Infatti, la gran parte delle paste e dei vini trovano una esaltazione reciproca. Di solito una degustazione di vini non viene abbinata con la pasta, ma a tavola la musica cambia e le connessioni sono infinite. I miei vini? Be’ il rosso Antani con l’Amatriciana è la morte sua, Come se fosse ha una trasversalità che lo rende jolly. Il bianco La Voglia matta con la carbonara? Una cosa straordinaria. Ma al di là dei vini che io produco, ci tengo a sottolineare che calici e pasta si danno un eccezionale appoggio reciproco”.