Ebola attraversa l’Atlantico: a Dallas il “Paziente Uno”
Nel caso qualcuno non avesse chiaro il significato del termine “pandemia”: secondo il Dizionario Medico del Corriere della Sera, vuol dire «Diffusione, più o meno contemporanea, di unamalattia infettiva epidemica da uno stato all’altro, o da un continente all’altro, così da colpire un grandissimo numero di persone». [Leggi anche: Tra informazione e pandemia mediatica] Nel caso qualcuno non avesse chiaro il significato di una notizia pubblicata ieri dal New York Times: «Il passeggero di una linea aerea afflitto dal virus Ebola, è in cura a Dallas». Nel caso qualcuno fatichi a trovare un nesso le due cose: siamo sotto la spada di Damocle di un’epidemia che potrebbe espandersi in tutto il mondo; epidemia che ahimé riguarda un virus estremamente aggressivo, spesso letale. [Leggi anche: Quanto denaro serve per fermare l’Ebola] I fatti: a un uomo che è salito a bordo di un volo commerciale dalla Liberia, il 20 settembre, è stato diagnosticato il virus Ebola, ha ammesso l’istituto “Centers for Disease Control and Prevention” di Atlanta. «È il primo viaggiatore ad aver portato il virus negli Stati Uniti su un aereo passeggeri. Non è stato male durante il volo, i sintomi sono apparsi alcuni giorni dopo ed è al momento in cura presso il Texas Health Presbyterian Hospital a Dallas», prosegue il comunicato. Non è stata una sorpresa. Vista l’esplosione della gravissima malattia attraverso l’intera Africa Occidentale, l’arrivo in Usa era solo questione di tempo, hanno dichiarato le autorità, e i dipartimenti sanitari di tutta la nazione erano in stato di allerta. C’erano stati dei falsi allarmi: stavolta purtroppo si tratta di Ebola. «Il passeggero in questione era stato controllato prima della partenza e non mostrava alcun sintomo», ha spiegato il dottor Thomas R. Frieden, direttore dei Disease Centers. «Il virus è si diffonde solo dopo l’apparizione dei sintomi, per contatto diretto con i fluidi corporei del paziente: pertanto non esiste alcuna possibilità che altri viaggiatori siano stati infettati». Il “Paziente Uno” ha mostrato i primi sintomi quattro giorni dopo l’arrivo ma l’ospedale in cui si è recato l’ha rimandato a casa; il 28 è stato ricoverato in isolamento a Dallas e sono in corso indagini per stabilire eventuali infezioni fra i suoi contatti. «Seguendo le attuali procedure, di comprovata efficacia, non ho alcun dubbio: il virus verrà bloccato per cui non ci sarà un’epidemia negli Stati Uniti», ha concluso il dottor Frieden. Che non ha voluto diffondere il nome della linea aerea né del paziente. L’uomo è in gravi condizioni; i medici e la famiglia stanno decidendo l’eventuale applicazione di terapie sperimentali. Il primario di Epidemiologia dell’Health Presbyterian Hospital, dottorEdward Goodman, ha confermato che l’ospedale da tempo ha preparato un piano d’azione nel caso si presentasse un paziente affetto dal virus: «Eravamo e siamo pronti a curarlo». Da parte sua, il dottor Frieden ha informato della situazione ieri pomeriggio il presidente Barack Obama, spiegandogli non solo la severità dei protocolli di isolamento ma anche le ricerche di eventuali altri casi infettati dal “Paziente Uno”. «Ho detto al presidente che il C.D.C. era pronto ad affrontare questa emergenza e che abbiamo le infrastrutture necessarie a rispondere in modo sicuro ed efficiente». Dal canto suo, la Casa Bianca ha lanciato una campagna mirata a prevenire il panico e ad informare, anche via i social media, come il virus si diffonde (ma, soprattutto, come NON può diffondersi). A tutt’oggi, spiega il New York Times, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità sarebbero state infettate dal virus Ebola circa 6.500 persone in Guinea, Liberia, Nigeria,Senegal e Sierra Leone; tremila sarebbero perite. Secondo i Centers for Disease Control and Prevention, il worst case scenario in Usa prevede – ma è totalmente irreale – 1.400 mila infezioni nel giro di quattro mesi. A tutt’oggi, non esiste una cura definitiva: nel passato, il virus si è rivelato mortale in percentuali oscillanti dal 60 al 90 per cento dei casi. Un vaccino si è rivelato efficace a prevenire l’infezione fra i macachi, e gli Stati Uniti stanno investendo nella sperimentazione e nella produzione, nella speranza che si riveli utile a bloccare Ebola anche fra gli umani. |