Dl Aiuti in Senato, M5s non vota. Fallisce la mediazione di D’Incà

Crisi di governo a un passo, dopo la decisione del M5s di non votare il dl aiuti che stamani è all’esame del Senato. Fallisce il tentativo di mediazione del ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico d’Incà, che stamani ha proposto di evitare la fiducia sul provvedimento ma di votare articolo per articolo. D’incà ha infatti avuto un confronto con il presidente Draghi, il quale ha indicato come unica via percorribile la richiesta di fiducia.

 


Dal Pd il segretario Enrico Letta fa sapere di non essere disposto a a tirare avanti chicchessia. In Parlamento “diremo che siamo disponibili a una continuazione di questo governo Draghi, non siamo disponibili a tirare avanti chicchessia: se non ci saranno le condizioni, se altri partiti della maggioranza si sfileranno, allora la parola passerà agli italiani e noi saremo pronti ad andare di fronte agli italiani con il nostro progetto per il futuro dell’Italia. Se quello che verrà detto in Parlamento è differente, vorrà dire che si andrà di fronte agli italiani e noi siamo pronti a prepararci per questa campagna elettorale”.

Una maggioranza senza il M5s “a me sembra un’ipotesi totalmente improbabile. Dopodiché il Parlamento è sovrano, quindi ascolteremo tutti”, ha detto Letta. 

L’ex M5s Luigi di Maio attacca gli ex compagni di partito: “I dirigenti M5S stavano pianificando da mesi l’apertura di una crisi per mettere fine al governo Draghi. Sperano in 9 mesi di campagna elettorale per risalire nei sondaggi, ma così condannano solo il Paese al baratro economico e sociale. Non potevamo essere complici di questo piano cinico e opportunista, che trascina il paese al voto anticipato e al collasso economico e sociale”, ha affermato il ministro degli Esteri.


Ore cruciali per le sorti del governo Draghi. Nell’aula del Senato è in corso la discussione sul dl aiuti. L’esito della votazione di fiducia – il M5s ha annunciato che non la voterà – è atteso entro le ore 15. Gli aggiornamenti minuto per minuto (ANSA)


LA LUNGA GIORNATA DEL MOVIMENTO

I 5 stelle non voteranno la fiducia al decreto aiuti che stamani va in Aula al Senato. L’annuncio del leader Giuseppe Conte, aprendo ieri sera l’assemblea congiunta dei parlamentari pentastellati al termine di una giornata convulsa e contraddittoria, mette i governo a un passo dalla crisi. L’orientamento era emerso nel corso del Consiglio nazionale dei pentastellati. Non sono bastate le promesse di un nuovo patto sociale e di nuove misure contro i bassi salari a convincere il M5s e alla vigilia del voto di fiducia in Senato il partito si divide su una decisione sofferta che potrebbe essere prodromica ad altri “strappi” dentro al Movimento, sancendo la rottura netta con il governo Draghi.  

Senza un appoggio chiaro, avrebbe ribadito il premier Mario Draghi direttamente a Conte nel corso di una telefonata, l’esperienza del governo è da considerarsi finita. Il Pd e la Lega lo mettono a verbale, qualsiasi strappo segnerebbe la fine dell’esperienza a Palazzo Chigi. E si andrebbe – avvertono Salvini e Letta – dritti verso nuove elezioni. Con il partito di via Bellerio che rimarca: “senza il voto dei pentastellati la maggioranza non c’è più”. E Giorgia Meloni che aggiunge: “Basta, pietà. Tutti a casa: elezioni subito!” In Senato “non possiamo che agire con coerenza e linearità” rispetto a quanto fatto alla Camera sul dl aiuti, “i cittadini non comprenderebbero una soluzione diversa”, ha spiegato Conte, che nella telefonata con Draghi ha registrato “la sua disponibilità” ma senza accontentarsi di “impegni: occorrono concrete misure”. L’ex premier rivendica al M5s il ruolo di “unica forza politica che sta incalzando il governo sulle emergenze”, e anche l’importanza del Reddito di cittadinanza, avvertendo – anche alzando la voce – che “non permetteremo mai che venga smantellato”.


Agenzia ANSA


Il presidente apre la riunione con un intervento trasmesso in streaming (ANSA)



La difficoltà di prendere la decisione dell’Aventino per il M5s è stata evidente: il Consiglio nazionale, convocato ieri di buon mattino, dopo cinque ore è stato costretto ad aggiornarsi. i vertici sono tornati a vedersi in serata, e poi si sono riuniti anche senatori e deputati. Conte ha sentito il premier che resta irremovibile sulle posizioni espresse pubblicamente il giorno prima in conferenza stampa, o dentro o fuori. La stella polare dell’esecutivo è “fare”, su gran parte dei nove punti dell’agenda cinquestelle il premier ha dichiarato di registrare “convergenze” ma quello che viene considerato inaccettabile è ricevere diktat, da chiunque. E la palla è tornata inesorabile nel campo dell’avvocato: ‘farò quello che posso’, avrebbe chiosato al termine del colloquio, secondo quanto riferito in ambienti parlamentari.

Ma Conte si è trovato di fronte ad un bivio cruciale: chiedere di votare sì nell’Aula di Palazzo Madama ai suoi e rischiare di spaccare senza ritorno il Movimento, compromettendo la sua leadership; oppure assecondare chi da giorni è in pressing per consumare una rottura definitiva con Palazzo Chigi. Ha prevalso la seconda strada. Ma le pressioni su Giuseppe Conte non sono certo solo interne.

Il segretario del Pd indica una “svolta” nell’azione del governo che sarebbe irresponsabile non sostenere: “metterlo a rischio ora sarebbe paradossale”, dice anche lui ai suoi deputati e senatori convocati subito dopo pranzo in una riunione congiunta a Montecitorio. Da parte del Pd non ci sono ricatti né ripicche ma se il M5s fa cadere il governo si “va al voto”. E il sospetto dei Dem è che ormai questo sia anche l’obiettivo del centrodestra. Lo dice chiaramente Giuseppe Provenzano, il vice segretario: “stanno provando a cogliere l’attimo, ai 5S chiediamo di non fargli questo regalo”. Salvini professa lealtà ma assicura anche di non essere disponibile a fare la caccia ai “responsabili” in Parlamento. “Meglio – dice – far votare gli italiani che far passare loro 9 mesi sulle montagne russe. Se i 5 stelle faranno una scelta parola agli italiani”. Ma dentro la Lega affiorano posizioni più prudenti: il governatore del Veneto Zaia e quello della Lombardia Attilio Fontana – arrivati a Roma per incontrare proprio Draghi e parlare delle olimpiadi invernali Milano-Cortina – affermano chiaramente di puntare sulla continuità. “Se si può andare avanti anche senza M5s? Giro la domanda – risponde ai cronisti il primo – al presidente Mattarella che, come prevede la Costituzione, sentirà le forze politiche, vedrà i numeri e deciderà”. Ancora diversa, a dire il vero, la posizione di FI: prima Silvio Berlusconi e poi Antonio Tajani si dicono convinti che anche senza il M5S i numeri ci siano per continuare”. Ma quello che “non può’ esserci – aggiungono – è un altro presidente del Consiglio”.

Si è tenuta l’assemblea congiunta dei gruppi parlamentari del Pd



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