Dana, la trans scappata con la fidanzata dalla guerra in Ucraina: «Altre ragazze come me non sono riuscite a fuggire»

di Greta Privitera

Con la fidanzata Sonia sono riuscite a fuggire dall’Ucraina. Un caso raro perché chi sul passaporto è ancora identificata come uomo non può lasciare il Paese e rischia il richiamo alle armi

Dana dice di essere felice, a lei la vita in albergo non dispiace. Dice che dopo un mese di sirene, di esplosioni che ti fanno uscire il cuore dal petto e di dita delle mani congelate che non si sentono più, dormire tutta la notte in un luogo in pace – «mi ero dimenticata come si sta bene in pace» – è la cosa che più si avvicina all’idea di paradiso. Sonia, invece, scrive di non essersi mai sentita così triste. Vivere lontano da casa la terrorizza quanto il suono di una bomba: «Anzi, peggio: in esilio mi sento morta. Siamo esiliate come Dante Alighieri». Sonia, appena può, nomina l’Italia, quando le parliamo al telefono, in videochat e su Telegram alterna l’italiano, che ha studiato da autodidatta, all’inglese e l’ucraino.

Dana ha 28 anni, Sonia 23, ci rispondono sdraiate sul letto di un albergo che le accoglie da qualche giorno. Si trovano a Gotein, un piccolo paese di campagna sui Pirenei atlantici francesi. Sono una coppia di Kiev che ha conosciuto l’inferno della guerra
: «Abbiamo vissuto in un tunnel della metropolitana. Faceva così freddo che non dormivamo per più di un’ora di seguito. Poi, in treno, siamo andate a Leopoli dove ci hanno aiutato a scappare: Polonia-Germania-Parigi e qui», raccontano. Dana è una ragazza transessuale, sul passaporto è ancora identificata con la «M» di maschio, una lettera che la tormenta da sempre, ma che nell’ultimo mese le ha creato ancora più difficoltà. Secondo la legge marziale in vigore da quando è iniziata l’invasione russa, tutti gli uomini dai 18 ai 60 anni non possono lasciare l’Ucraina perché, se fosse necessario, potrebbero essere richiamati alle armi. «Ma lei non è un uomo», dice Sonia, «è la mia fidanzata e non vuole né combattere, né stare a Kiev con i russi».

Dana è una delle poche transessuali che è riuscita a lasciare il Paese. «Ci sono moltissime donne transgender bloccate al confine che non hanno avuto la sua stessa fortuna», ci raccontano le fondatrici di Insight, una Ong ucraina che si batte per i diritti Lgbtq+: «Ha i tratti del viso molto femminili e un nome da donna, così è riuscita a eludere i controlli».

Una volta arrivate alla frontiera con la Polonia, travolte da una paura che non conoscevano, si sono messe in fila sperando di confondersi con le centinaia di persone che si trovavano lì, racconta Sonia che usa l’espressione «in fila come suini» perché, dice, è da trenta giorni che viviamo come fossimo animali. «Avremmo voluto attraversare quella linea mano nella mano, ma le coppie gay in Ucraina non sono sempre ben viste. L’accordo era che se Dana non fosse passata, sarei rimasta con lei», continua Sonia. L’agente ha guardato il passaporto, ha controllato la fotografia, poi il volto di Dana, ha ridato un occhio al documento e le ha detto «vai». Non si è soffermato sulla voce «sesso» e non ha notato quella «M».

«Avrei voluto gridare di felicità, saltare di gioia, ma ho deglutito e sono passata dopo di lei. Solo una volta dopo il confine ci siamo abbracciate, sedute su un marciapiede in mezzo a tantissime persone sconosciute e tantissime valigie colorate. Io ho pianto perché sono emotiva, Dana no».

Con loro, ci spiegano da Insight c’erano altre ragazze trans che non ce l’hanno fatta: «Alcune sono state derise – “sei un uomo dove credi di andare”». Insight ha un rifugio a Leopoli che accoglie e aiuta le donne transgender in fuga. «Abbiamo una quindicina di letti – raccontano. Le teniamo qui con noi per qualche giorno, giusto il tempo di organizzare l’uscita. Un driver le porta al confine e poi, se riescono ad andare, siamo in contatto con altre associazioni Lgbtq+ di Polonia, Romania e Bielorussia che ci aiutano a sistemarle una volta superata la frontiera. Negli ultimi giorni, su quindici che ci hanno provato, solo cinque ce l’hanno fatta». Chi non ce la fa ci riprova, oppure torna al rifugio e spera di non essere chiamata alle armi.

Dana parla poco, è timida dice Sonia. Sono entrambe del Donbass, di  Donetsk, e sono scappate dai russi già una volta, nel 2014. «La paura di tutta la comunità Lgbtq+ ucraina è che se torniamo sotto l’influenza russa vedremo andare in fumo i diritti conquistati negli ultimi ann
i», spiega Dana. In Russia la comunità Lgbtq+ è considerata quasi fuori legge, esiste un decreto che vieta quella che viene definita «la propaganda omosessuale». «Certo, non è facile essere trans neanche in Ucraina. Ci vogliono anni e incontri massacranti con psicologi per concludere il percorso di transizione. Le medicine costano moltissimo e non parliamo dell’operazione. Ma negli ultimi tempi, va meglio grazie al lavoro delle associazioni e a qualche partito che porta avanti i nostri diritti in parlamento», dice Dana.

L’omosessualità non è più un reato dal 1991 e nel 2015 è stata vietata la discriminazione nei confronti delle persone Lgbtq+ sul posto di lavoro. «In Russia non si può nemmeno dire gay alla radio o in televisione», racconta Sonia che conosce bene il Paese perché dal 2014 sua madre, russofona e filorussa, si è trasferita lì. «I genitori di Dana sono ucraini e combattono contro l’esercito russo, invece mia madre dice che la guerra non esiste e che io non sono lesbica. Ho smesso di avere rapporti con lei, è imbevuta di propaganda», racconta sempre Sonia.

In passato, Dana è ha incontrato diversi dottori per ottenere quella che chiamano «la diagnosi», un foglio per accertare il desiderio di compiere la transizione. «Sono otto anni che ci prova, ma gliel’hanno sempre negata. Senza diagnosi non solo non puoi operarti, ma non puoi nemmeno acquistare i medicinali, lei se li è comprati tutti in nero. In Ucraina la corruzione è ovunque, se hai soldi paghi qualcuno che cambia il tuo documento, se non ce li hai sei “M” per sempre. Noi lavoriamo in un supermercato, e quei soldi non li avremo mai», dice Sonia.

«In Francia, invece, è tutto diverso. Fra dieci giorni mi daranno i medicinali gratis, un sogno», continua Dana.

Sonia vuole tornare a Kiev, le manca la sua casa e i suoi amici. Dana vede nella vita in Francia delle possibilità. Vorrebbe studiare all’università: «In Ucraina costa troppo».

Oggi seguono la guerra su Telegram, con i video e le informazioni di chi vive lì. Parlano al telefono con i genitori di Dana e con le migliori amiche. «Vorrei staccare e cercare un po’ di pace dentro di me, ma non riesco», continua Sonia. Le capita di svegliarsi all’improvviso, nel cuore della notte. Sente il rumore di esplosioni che non ci sono.

27 marzo 2022 (modifica il 27 marzo 2022 | 16:19)

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