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Cosa vuole fare Musk con Twitter

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La notizia dell’acquisizione del social network Twitter da parte dell’imprenditore statunitense Elon Musk per circa 44 miliardi di dollari (circa 41 miliardi di euro) è stata seguita con grande attenzione e puntualità da giornali e siti di news internazionali, suscitando in particolare un interesse esteso e trasversale tra esperti di mercato, di nuovi media e di tecnologia, oltre a una lunga serie di interrogativi e preoccupazioni.

Twitter è stato in anni recenti ed è tuttora una delle piattaforme più influenti nel dibattito pubblico, specialmente quello statunitense, pur non essendo tra i social network più frequentati in assoluto (ha circa 200 milioni di utenti attivi giornalieri). Musk è considerato la persona più ricca al mondo ed è noto per essere il CEO e il fondatore dell’azienda di automobili elettriche Tesla e dell’azienda SpaceX, che porta satelliti e astronauti nello Spazio. Oltre a tutto questo, è da molti ritenuto il più ambizioso, imprevedibile e carismatico nel gruppo di miliardari amministratori di grandi aziende della Silicon Valley.

Proprio in quel gruppo, come ha fatto peraltro notare il giornalista e politologo americano David Rothkopf, Musk era finora l’unico a non essere proprietario di una qualche grande azienda nel settore dei media.

L’uomo più ricco del Forbes 400 del 2021 possiede il Washington Post. Il numero 2 ora possiede Twitter. Il numero 3 possiede Facebook. I numeri 5 e 6 hanno fondato Google. I numeri 4 e 9 hanno fondato Microsoft. Il numero 10 possiede Bloomberg. Libertà di parola? Decidete voi.

– David Rothkopf (@djrothkopf) 25 aprile 2022

La persona più ricca del mondo nella classifica di Forbes del 2021 – Jeff Bezos – possiede il Washington Post. La seconda – Musk – ora possiede Twitter. La terza – Mark Zuckerberg – possiede Facebook. La quinta e la sesta – Larry Page e Sergey Brin – hanno fondato Google. La quarta e la nona – Bill Gates e Steve Ballmer – hanno fondato Microsoft. La decima possiede Bloomberg.

Se la spiegazione del vasto interesse generato dalla notizia della vendita di Twitter a Musk è apparsa da subito comprensibile, molto più incerte e indefinite risultano al momento le ragioni dell’acquisizione e le previsioni riguardo ai piani futuri di Musk al di là delle sue dichiarazioni recenti.

Musk, peraltro presente e attivo su Twitter da molto tempo, aveva scritto nei giorni scorsi di voler estendere la libertà di espressione attualmente garantita sul social network e rendere pubblico e accessibile il funzionamento della piattaforma anche negli aspetti più tecnici, “rendendo l’algoritmo open source“. Come peraltro da tempo richiesto da molti esperti che si occupano di politiche di regolamentazione delle piattaforme.

Aveva inoltre parlato della possibilità per gli utenti di modificare i propri tweet, possibilità al momento assente, e manifestato il desiderio che le persone con un grande seguito fossero più attive sulla piattaforma. Aveva espresso una preferenza per la monetizzazione tramite abbonamenti rispetto a quella tramite pubblicità. E aveva scritto di voler migliorare la versione di Twitter a pagamento, rendere possibili i pagamenti in criptovalute e intensificare gli interventi di rimozione degli account fasulli e dei bot automatici che diffondono messaggi per influenzare il dibattito pubblico.

Se la nostra offerta su Twitter avrà successo, sconfiggeremo i bot di spam o moriremo provandoci!

– Elon Musk (@elonmusk) 21 aprile 2022

A parte questo, la maggior parte dei commenti e delle analisi circolate sia prima che dopo l’ufficialità dell’acquisizione manca di dettagli e riflette una certa incredulità e una condivisa incapacità di prevedere le ripercussioni che questo evento potrà avere sia sull’evoluzione di Twitter che sulla reputazione, sul patrimonio e sui progetti di Musk.

– Leggi anche: Anche il fondatore di Twitter è contento che la società passi a Elon Musk

Pochi giorni fa, in un articolo in cui si dichiarava ancora piuttosto scettico riguardo alla vendita di Twitter, la giornalista Megan McArdle aveva osservato sul Washington Post che l’operazione – l’accordo dovrebbe essere finalizzato entro il 2022 – non ha molto senso per Musk prima di tutto dal punto di vista finanziario. Rischia infatti di compromettere seriamente il suo patrimonio, stimato intorno a 268 miliardi di dollari ma per la maggior parte costituito da azioni Tesla, “che inizierebbero a perdere valore nel momento in cui ne vendesse una quantità apprezzabile” per finanziare l’operazione. In generale, poi, il valore delle azioni di Tesla è da tempo ritenuto fortemente sovrastimato da molti osservatori, come suggerito dal fatto che la capitalizzazione di mercato dell’azienda equivalga grossomodo a quella delle altre dieci società automobilistiche al mondo messe insieme, pur producendo una piccola frazione delle loro macchine.

L’altra possibile causa di problemi per Musk è legata alla realizzazione dei suoi propositi, rispetto alla quale prevale sui giornali una generale sfiducia. Un conto è comprare Twitter e un conto è trasformarlo in quello che lui vuole, ha scritto McArdle, condividendo in buona sostanza le perplessità di molti commentatori che trovano ingenuo e un po’ naïf l’approccio di Musk a un dibattito che riguarda piattaforme impegnate da anni – e con successi molti limitati – a gestire le difficoltà poste dal bisogno di tutelare la libertà di espressione, contrastare la disinformazione e le espressioni di odio, rispettare le leggi dei singoli paesi e mantenere un modello di sostenibilità economica.

– Leggi anche: Elon Musk e la libertà di espressione

Cambiare Twitter non è come comprare casa e decidere se ristrutturare, ha scritto McArdle: un proprietario di casa non deve confrontarsi con 7.500 dipendenti, ciascuno dei quali ha le proprie idee su come dovrebbe apparire la casa alla fine. E inoltre non deve nel frattempo occuparsi della gestione di altre faccende, mentre Musk dovrà occuparsi di “ristrutturare” Twitter rimanendo CEO di Tesla e SpaceX.

Riguardo alla possibile resistenza che Twitter potrebbe opporre ai tentativi di cambiamento, McArdle ha fatto riferimento a una “sensibilità” e “cultura aziendale” che, soprattutto in merito alle scelte di moderazione dei contenuti, è il risultato di progressivi adattamenti alle inclinazioni di una rilevante base di utenti di sinistra, alle preferenze degli inserzionisti che non vogliono scontentare quella base e anche alle preferenze dei dirigenti e della parte progressista del personale che lavora in Twitter.

Musk, che in passato si era già opposto alla politicizzazione della piattaforma, ha recentemente sostenuto che le politiche di qualsiasi piattaforma di social media “sono buone se il 10 per cento più estremo a sinistra e a destra è ugualmente insoddisfatto”.

Le politiche di una piattaforma di social media sono buone se il 10% più estremo a sinistra e a destra è ugualmente insoddisfatto

– Elon Musk (@elonmusk) 19 aprile 2022

La parte più progressista di Twitter è tuttavia quella più impegnata quotidianamente nella gestione delle numerose “aree grigie” della moderazione, ha scritto McArdle. Aree che nessuna nuova politica di Musk sarebbe in grado di eliminare e con cui continuerebbero a misurarsi quotidianamente dipendenti il cui lavoro è fondamentale per mantenere la piattaforma coinvolgente evitando che si trasformi in una piattaforma priva di moderazione, piena di contenuti indesiderati o contrari alle leggi.

– Leggi anche: L’approccio di Substack alla moderazione dei contenuti

Molti commenti si sono poi concentrati sulla possibilità che le nuove politiche di Musk, che si definisce “un assolutista della libertà di espressione”, diano modo all’ex presidente Donald Trump di tornare su Twitter, dopo la sua espulsione dovuta alle responsabilità a lui attribuite nel fornire sostegno all’attacco al Congresso statunitense del 6 gennaio 2021 attraverso bugie e forzature. Responsabilità per cui altre piattaforme, come Facebook, avevano preso decisioni simili a quella di Twitter.

L’apertura mostrata da Musk verso l’idea di una riduzione degli interventi di moderazione su Twitter sui temi di politica, secondo il New York Times, potrebbe avere come primo effetto l’ulteriore indebolimento della crescita già piuttosto fiacca di Truth Social, la piattaforma sviluppata da una delle società di Trump come alternativa ai social da cui era stato rimosso.

Il giornalista americano Derek Thompson si è inoltre chiesto in un articolo sull’Atlantic se una reintegrazione futura di Trump su Twitter potrebbe eventualmente procurargli un vantaggio in vista di una candidatura alle elezioni presidenziali del 2024. Non ha fornito risposte, e non ha escluso l’ipotesi che nuove eventuali attenzioni mediatiche ai tweet di Trump finiscano anzi per erodere il consenso intorno a lui tra i moderati all’interno del Partito Repubblicano.

In tutti i casi, ha scritto Thompson, le critiche verso Musk e le attenzioni riguardo all’influenza delle sue decisioni nel dibattito politico non potrebbero che aumentare, probabilmente oltre quanto convenga a “uno che ha lavorato e continua a lavorare con il governo federale” (SpaceX invia satelliti nello Spazio per conto del governo americano, tra gli altri). Per via della popolarità di Musk, secondo Thompson, è probabile che le questioni relative agli estremismi e agli abusi sulla piattaforma diventeranno ancora più centrali nel dibattito dei prossimi mesi, anche a prescindere da nuove eventuali politiche di moderazione.

– Leggi anche: Quanto è difficile fare una legge sulla moderazione dei contenuti online

“È davvero molto importante che le persone abbiano la percezione di essere e siano realmente in grado di parlare liberamente entro i limiti stabiliti dalla legge”, ha detto Musk in una recente intervista con il capo delle conferenze TED Chris Anderson, in cui ha aggiunto di non essere interessato affatto agli aspetti economici ma al “futuro della civiltà”.

In generale, è largamente condivisa tra giornalisti, commentatori e analisti una sostanziale incertezza rispetto ai piani futuri di Musk, anche in considerazione della personalità e delle attitudini del soggetto. “Chiunque sia estremamente sicuro di come andrà a finire non sa di cosa sta parlando”, ha scritto Thompson, sintetizzando l’acquisizione in questi termini: “Un dirigente nel settore delle auto e dei razzi, che si è fatto un nome in quello dei pagamenti digitali, ha acquistato un sito Web in cui le persone si urlano addosso riguardo alle notizie”.

I comprovati successi di Musk da dirigente delle sue aziende, ha aggiunto Thompson, non offrono peraltro alcuna garanzia di successi anche nella gestione di un social media: “è come se il domatore di leoni più bravo al mondo pagasse per farsi rinchiudere in una vasca di squali con un grande squalo bianco”. Nonostante tutte le incertezze, secondo Thompson, l’acquisizione di Twitter da parte di Musk dovrebbe comunque essere un bene per una società quotata in borsa che ha perso complessivamente 861 milioni di dollari nella sua storia come società per azioni, e la cui leadership aziendale è fondamentalmente costituita da un gruppo di persone che – a differenza di Musk – non usano mai Twitter.

Riguardo al tema più vasto e complesso della libertà di espressione le previsioni sono invece piuttosto pessimiste. In molte analisi prevale in generale una tendenza a considerare negativamente l’impatto delle scelte compiute da aziende private in materia di interesse pubblico. A prescindere da quale parte politica potrà essere ora soddisfatta ora insoddisfatta da questo o da quell’intervento, “il potere privato proteggerà sempre il potere privato e non gli interessi pubblici”, ha scritto l’Atlantic.

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