Come si raduna e smista più di mezzo milione di pecore
In questi giorni centinaia di migliaia di pecore che per mesi hanno pascolato liberamente sugli altipiani dell’Islanda devono essere recuperate, smistate e riportate nelle stalle dei loro allevatori, in vista dell’inverno. Le complesse operazioni per farlo si chiamano réttir, smistamenti, e sono un evento sociale tradizionale molto popolare e caratteristico della vita sull’isola. Negli ultimi anni sono anche diventate un’occasione di promozione turistica: ci sono tour organizzati che prevedono di presenziare allo smistamento e alla precedente fase del raduno.
A settembre e all’inizio di ottobre 🍁 in Islanda è tempo di “réttir”, ovvero l’annuale raduno delle pecore 🐑 Questa attività richiede molto lavoro, ed è per questo che esiste un’antica tradizione in cui le famiglie e gli amici degli allevatori islandesi vengono in campagna per aiutarli 😊#iceland pic.twitter.com/BDRBhDj9m6
– BusTravel Iceland (@IcelandBus) 21 settembre 2022
Le réttir sono una tradizione che ha almeno 300 anni, anche se alcune le fanno risalire ai primi coloni del XII secolo. Sono uno dei momenti più importanti della vita delle campagne islandesi, ma coinvolgono anche gli isolani che vivono in città perché richiedono la collaborazione di molte persone.
L’allevamento ovino è stato per secoli una delle principali fonti di sostentamento dell’Islanda e oggi le pecore sull’isola sono circa 400mila in inverno, e anche il doppio da maggio in avanti, dopo che ogni femmina ha partorito in media un paio di agnelli. Per confronto: nel 2020 gli abitanti umani dell’intero paese erano solo 366mila.
In estate le pecore sono lasciate completamente libere di vagare e brucare sugli altipiani, perché lì possono trovare tutto il cibo di cui hanno bisogno e per l’assenza di predatori: in Islanda non ci sono lupi, e gli unici mammiferi terrestri carnivori, le volpi artiche, non sono abbastanza grandi per attaccare le pecore. Durante i mesi estivi incontrare gli ovini è una costante in quasi ogni angolo dell’Islanda, spesso a gruppi di tre (una madre e due agnelli, considerati tali fino all’età di un anno).
Nei mesi invernali il clima rigido e l’assenza di cibo non permetterebbero agli animali di sopravvivere, per cui gli allevatori procedono al recupero e allo smistamento: in giornate stabilite le pecore vengono convogliate verso punti di raccolta tradizionalmente costituiti da due recinti circolari concentrici, con l’anello esterno diviso in spicchi. Qui avviene fisicamente lo smistamento, in base alle targhette attaccate alle orecchie delle pecore.
Un’azienda agricola di medie dimensioni può dover gestire anche un migliaio di animali ed è spesso a conduzione familiare. Amici, parenti e volontari vengono quindi coinvolti nelle réttir, vere e proprie cerimonie contadine che prevedono momenti di socializzazione e una festa finale. Gli eventi di questo tipo sono circa 150, in base alle zone dell’isola. Il calendario che li elenca si può trovare presso gli enti locali o su quotidiani come Bændablaðið, “Il foglio dei contadini”: nella sua edizione cartacea prende la forma di una doppia pagina ricercatissima, come testimoniato su Twitter da Leonardo Piccione, giornalista e scrittore italiano che vive parte dell’anno in Islanda.
Un po’ più tardi del solito, ma anche quest’autunno sono riuscito a procurarmi la copia del Bændablaðið con lista e mappa gigante di tutti i raduni di pecore in programma in Islanda (che, ricordo, qui è paragonabile al paginone della Gazzetta coi movimenti di calciomercato) 🐑 pic.twitter.com/hEoR4mH0Bl
– Leonardo Piccione (@ledep) 19 settembre 2022
Le réttir sono precedute dalla lunga e complessa fase del raduno, la cosiddetta smölun: si tratta di recuperare e convogliare verso le zone di raccolta un grande numero di pecore, che spesso si sono allontanate molto e su terreni impervi. L’operazione viene svolta dai pastori con l’aiuto di intere comunità e dell’opera fondamentale dei cani: a piedi, o più spesso a bordo di quad, fuoristrada o cavalli islandesi, gli allevatori perlustrano gli altipiani per alcuni giorni, fino ai ghiacciai, e indirizzano le pecore verso le zone in cui avverranno gli smistamenti. Queste operazioni vengono dirette dal fjallkóngur, il “re della montagna”, che deve avere ampie conoscenze della zona e una certa autorità riconosciuta all’interno della comunità locale.
Nel giorno stabilito poi le pecore che sono state raggruppate sono condotte al corridoio che porta verso il recinto (rétt in islandese). Le operazioni in questo caso sono dirette dal réttarstjóri, “capo smistamento”.
Roberto Luigi Pagani, scrittore e ricercatore in linguistica e paleografia islandese all’Università d’Islanda di Reykjavik, ha partecipato a varie edizioni delle réttir e le ha raccontate sul suo sito “Un italiano in Islanda“. Spiega che per convogliare le pecore verso il recinto centrale, detto almenningur, “generale”, si procede così: “Si agitano le braccia e si fanno dei versi, soffi, urli, per farle scappare in direzione dell’apertura. Quando l’almenningur è pieno, si chiude il cancello e si aspetta di aver smistato le pecore già entrate, prima di farne passare altre. Per smistarle bisogna andarci in mezzo e leggere i codici sulle etichette, poi le si afferra per le corna e le si solleva per condurle in uno dei divisori laterali, detti dilkar, ognuno dei quali appartiene ad una fattoria in particolare. Una persona si premurerà di aprire e chiudere il cancelletto. Una volta che il proprio recinto è pieno, le pecore vengono condotte su un rimorchio trainato da un trattore”.
Tutta l’operazione, assicurano gli islandesi, è indolore per gli animali ma può essere pericolosa (o almeno dolorosa) per allevatori e aiutanti: le pecore scalciano e possono colpire con le corna, comuni fra gli ovini islandesi. Al termine dei lavori le réttir prevedono spesso una festa, chiamata réttaball, che segna anche la fine dell’estate.
Dalla metà di ottobre le pecore sono poi tenute in stalle e nutrite col fieno immagazzinato nell’estate precedente. Restano al chiuso fino a maggio, quando l’erba necessaria per nutrirle ricresce sugli altipiani. Qualche settimana prima del ritorno all’aperto nascono gli agnelli e le madri vengono separate dal resto del gregge per occuparsi dei piccoli, e poi condotte nei campi per lo svezzamento.
Le pecore islandesi sono numericamente in calo rispetto al passato perché il loro allevamento è sempre meno redditizio, per la concorrenza di carne e lana ottenuta a costi più bassi all’estero. Gli allevamenti sono principalmente concentrati nelle zone occidentali e nord-occidentali, mentre in altre zone è più comune l’allevamento bovino. Le pecore vengono tosate due volte all’anno e la loro lana è particolarmente pregiata e isolante. L’80 per cento dei ricavi da allevamento arriva però dalla vendita della carne, molto comune nella cucina locale, mentre il latte non è più utilizzato dagli anni Quaranta per scarsa redditività.
– Leggi anche: L’Islanda contro l’Islanda