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Catherine Spaak, “Lolita e madre, era la modernità. Ma a una certa Italia faceva paura”

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Roma. “Per me, Catherine Spaak ha rappresentato la modernità, la disinvoltura, la classe, e la voglia di non darla vinta agli uomini, nel cinema degli anni Sessanta”, dice Carlo Virzì, musicista e regista cinematografico. È lui il compositore di molte colonne sonore dei film di suo fratello Paolo, a cominciare dal mitico Ovosodo . Ma è sempre lui che, nel 2012, ha chiamato Catherine Spaak per il suo secondo film da regista, I più grandi di tutti .La storia del film era quella della reunion di una rock band di provincia, una rock band come ce ne sono (state) tante. Fra sorriso e malinconia, il film scorreva lieve. A Catherine Spaak era affidato il ruolo della madre del ricco giornalista, fan quasi patologico della band.

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Carlo, perché volle proprio Catherine Spaak? Che cosa rappresentava per lei?

“Era stata un’apparizione folgorante in film come Il sorpasso , La voglia matta . E soprattutto, ne La parmigiana di Antonio Pietrangeli. Un capolavoro, in cui lei dà vita a un personaggio incredibile, fantastico”.

Perché?

“È una storia di provincia italiana: lei è una ragazza giovane, che si trova costretta a farsi toccare da un vecchio barone, da un fotografo che conosce a Roma quando va a fare la modella… Tutti si approfittano di lei: Lando Buzzanca, Nino Manfredi.. Un po’ come in un altro film di Pietrangeli, Io la conoscevo bene , con Stefania Sandrelli. Ma, mentre la Sandrelli ne usciva come vittima totale, lei – immagino proprio in virtù di quello che era, grazie alla sua personalità reale – ne usciva a testa alta, in un mondo di maschi schifosi”.

Era già stata, in qualche modo, con i suoi diciassette anni, una versione italiana di Lolita, in film come La voglia matta…

“Sì. E la scena in auto, in cui mette i piedi sul parabrezza, è una scena cult assoluta, incredibile. Secondo me, deve averla vista anche Quentin Tarantino, che è un feticista assoluto dei piedi”.

Quando, molti anni dopo, l’ha cercata per il suo film, che cosa le ha detto?

“Accettò subito, era molto contenta di girare. Diceva che era stata un po’ dimenticata dal cinema”.

Era triste?

“Ma no, lo disse con disinvoltura, senza recriminazioni. Non era una donna infelice, anche se lavorava un po’ meno. Sul set, tutti noi ci sentivamo al cospetto di una specie di mito. Lei ha cambiato l’immagine della donna nel nostro cinema, nel cinema italiano”.

Lei guardava anche Harem ?

“Guardavo sempre Harem , perché volevo capire l’anima delle donne. E per un ragazzino, qual ero allora, mi sembrava l’unico modo. Catherine Spaak ha saputo trovare sfaccettature inedite nelle storie di tutte le persone che ha intervistato, da Sophia Loren a Gianna Nannini a moltissime altre”.

È stata una donna libera anche nella vita privata.

“Quando ebbe, giovanissima, la figlia Sabrina, negli anni Sessanta, non si trovò bene con il marito Fabrizio Capucci”.

Perché che cosa successe?

“Scappò con la figlia, fu denunciata dalla famiglia di lui, arrestata. E la bimba le fu tolta perché il tribunale la giudicò “di dubbia moralità“, soltanto perché era un’attrice. Le donne libere, e lei lo era, facevano paura. Credo che facciano paura anche oggi, perché in sessant’anni sulla questione femminile abbiamo fatto tanti passi avanti, ma anche tanti passi indietro”.

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