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Brittney Griner, che fine ha fatto la giocatrice di basket americana arrestata in Russia

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di Marco Imarisio, inviato a Mosca

Era stata fermata in aeroporto con dell’olio di cannabis: poi il silenzio. Dopo due mesi il Dipartimento di Stato Usa parla ufficialmente di «illegittima detenzione». Ma non è una buona notizia: significa che una trattativa è fallita

MOSCA – «Tra volare o essere invisibili, quale superpotere sceglieresti?». Brittney Griner ci pensò sopra per un attimo. Poi rispose che le sarebbe piaciuta di più l’invisibilità. In un bellissimo articolo sul Guardian, la regista statunitense Melissa Johnson, autrice anche di un film-documentario sul basket femminile, ricorda uno dei suoi ultimi incontri conla cestista detenuta dallo scorso 17 febbraio in un carcere russo dopo essere stata fermata all’aeroporto di Mosca
. Nel suo bagaglio, disse la Polizia di frontiera, era stata scoperta una bottiglietta contenente olio di cannabis, una sostanza legale negli Usa ma proibita in Russia, dove in materia di stupefacenti è in vigore una delle legislazioni più severe del mondo.

Come molte altre sue colleghe, nei tempi morti della stagione della Nba femminile, che va da giugno a ottobre, Griner aveva un contatto in essere con una squadra d’Oltreoceano, in questo caso l’UMMC di Ekaterinburg, per la quale giocava nel campionato russo da ormai quattro anni. La notizia divenne di pubblico dominio il quattro marzo, dieci giorni dopo l’inizio dell’Operazione militare speciale, nel mezzo dell’annuncio di un altro pacchetto di sanzioni.

La modalità dell’annuncio fu alquanto inusuale. Le autorità doganali non fornirono le generalità dell’atleta, che già conoscevano fin dal primo istante, ma diffusero un video dell’arresto. Ci volle poco per riconoscere Griner, due metri e 6 centimetri di statura, con i lunghi capelli rasta che porta fin dall’inizio della carriera. Una delle atlete più conosciute del basket femminile, all’Università la prima a essere nominata miglior giocatrice della stagione e della sua fase finale, riuscendo al tempo stesso anche a vincere il titolo. Una volta diventata professionista, è entrata nel libro dei record per aver segnato duemila punti e realizzato cinquecento stoppate in una sola stagione. Una attivista della comunità Lgbt americana, la prima campionessa dichiaratamente lesbica ad avere firmato un contratto di sponsorizzazione con la Nike. Famosa in campo e fuori. Proprio per questo non si spiega l’invisibilità che l’ha inghiottita. In questi mesi, è stato come se Griner non esistesse. Eppure, l’accusa nei suoi confronti è di quelle pesanti. Trasporto di droga su larga scala, che è l’anticamera dello spaccio internazionale, possibile una pena fino a dieci anni reclusione. Si era parlato di un possibile scambio con due cittadini russi detenuti negli Usa per reati comuni. Poi più nulla. Inghiottita dal silenzio.

In Russia, come è normale, ma anche negli Stati Uniti, dove la Wnba, l’associazione femminile del basket professionistico, non si è agitata più di tanto. Pochi e scarni gli aggiornamenti sulla sua situazione. La detenzione preventiva dell’atleta è stata allungata già una volta, fino al 19 maggio. Per quella data, i magistrati hanno già detto di voler chiedere ancora un prolungamento del provvedimento. Griner può restare detenuta in attesa fino a un massimo di 18 mesi. La scelta di parlarne il meno possibile era una tattica. La stessa famiglia dell’atleta aveva fatto appello alla massima discrezione, intervenendo sui social con la richiesta agli utenti che invocavano la liberazione, di non dare risalto alla vicenda. Tenere un profilo basso. Perché un’ampia cassa di risonanza al caso-Griner avrebbe aumentato il valore della prigioniera come possibile pedina di scambio, allungandone i tempi di rilascio. Ma questa strategia non ha funzionato. Proprio per questo, sbaglia chi sui social applaude alla netta presa di posizione del Dipartimento di Stato Usa, che con un comunicato ufficiale, dopo due mesi e mezzo, definisce «illegittima» la detenzione della campionessa. Perché si tratta dell’ammissione di un fallimento. Il lavoro diplomatico dietro le quinte per liberarla, magari con uno scambio, non sta funzionando. Quindi si passa alle proteste ufficiali. E si rimette in moto la catena della solidarietà, sui social e non solo. Comincia una nuova fase, e nessuno può dire quanto durerà. Ma la povera Griner continua a essere invisibile. «Il mio incubo peggiore», aveva confidato anni fa alla sua amica Melissa Johnson, «è che tutti si dimentichino di me e io finisca per rimanere sola».

4 maggio 2022 (modifica il 4 maggio 2022 | 15:58)

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