Analisi de “Le politiche dell’amicizia” di Derrida – di Andrea Vito
Obiettivo del volume di Derrida è chiarire che cosa significa il concetto di amicizia, alla luce delle spiegazioni date da diversi autori nella storia del pensiero e del dibattito contemporaneo.
Inizialmente, si parla della figura del politico, che raramente si annuncia senza una qualche aderenza tra Stato e famiglia. Il discorso verte, poi, sulla democrazia, che raramente è rappresentativa senza la possibilità di una fraternizzazione. Il concetto di fratellanza è fondamentale per leggere l’idea di amicizia in chiave contemporanea e non solo, ciò sarà dibattito della parte finale del volume.
Derrida riprende una frase aristotelica molto intrigante e fascinosa (“O amici miei, non c’è nessun amico!”) per presentare differenti questioni alla nostra attenzione: gli amici sono rari? Devono restare rari? Quanti sono? In che conto bisogna tenere la rarità? Chiaramente si tratta di domande che devono anche restare aperte, ma Derrida prova a dare un senso alla nostra attesa di una risposta. Si sostiene come, di queste grandi e rare amicizie, i segni pubblici e politici portano testimonianza, essi acquistano così un valore di eredità esemplare. L’amicizia è ciò che mi permette di proiettare la speranza oltre la vita perché l’amico è la nostra “propria immagine ideale”.
Secondo Cicerone, nel vero amico si proietta o si riconosce il proprio doppio ideale, l’altro sé stesso, lo stesso sé, ma in meglio. E’ come se l’amico rappresentasse un motivo di dono che noi facciamo, portando in dote tutti gli aspetti dominanti della nostra bontà d’animo.
Viene, in seguito, ripreso il pensiero di Aristotele, secondo cui è meglio amare, che essere amati. In fondo, l’amicizia non è che questo, è un modo di amare. Per provare a capire a fondo il fenomeno dell’amicizia, spiega Derrida, dobbiamo partire dall’amico amante, non dall’amico amato. Soltanto interrogando l’amante, noi potremo avvicinarci all’atto di amore e intendere che cosa significa amare.
Se l’amicizia vive, essa si anima, diviene psichica a partire dalla risorsa del sopravvivere: si tratta di una capacità che l’amicizia possiede non in quanto atto, ma in relazione al suo oggetto (essa può amare anche l’inanimato). Essere amici si fonda proprio sulla dimensione della sopravvivenza, che è l’origine e la possibilità dell’amicizia, l’atto in lutto dell’amare.
Poi, si ragiona meglio sul concetto di sopravvivenza, che si dà ritirandosi e non fa che cancellarsi. A tale proposito, mi sembra meritevole di citazione una scena del film tratto dall’omonimo libro di J.K. Rowling, “Harry Potter e l’Ordine della Fenice”, in cui il protagonista, Harry, con i suoi amici, sta lottando contro il nemico Voldemort, nel vuoto delle aule del Ministero della Magia. Harry ha appena perso in battaglia il suo padrino, Sirius Black e, perso nel dolore di questa dolorosa mancanza che lo ha appena colpito, si lancia all’inseguimento dell’avversario che ha stroncato la vita di Black, la strega Bellatrix. Voldemort arriva e, dopo essersi confrontato con Albus Silente, giunto in aiuto di Harry, in duello, decide di entrare nella mente di Harry Potter, per possederlo dall’interno. Lottando contro il nemico, Harry trova la forza per esprimere con poche parole che l’amicizia sarà sempre estranea al cuore di Voldemort e che , per questo motivo, egli è e sarà sempre un debole. La possibilità di vivere il lutto (la morte del padrino Sirius Black) e la capacità di amare incondizionatamente l’altro sono esperienze di senso che rendono la persona più forte e in grado di compiere qualsiasi impresa.
Tornando al libro di Derrida, vediamo come il filosofo sostenga che l’amicizia non vada mai senza il tempo: non c’è amico senza il tempo.
Inoltre, l’amicizia deve darsi sempre con fiducia: l’impegno dell’amicizia prende tempo, dà tempo perché porta al di là dell’istante presente, conserva la memoria e anticipa.
Un nuovo concetto importante viene poi alla luce: non bisogna avere troppi amici perché mancherebbe il tempo per metterli alla prova, vivendo con ciascuno. Il vero amico, infatti, non può restar privo di prova, né amico di un solo giorno, ci vuole tempo perché si costruisca a fondo il rapporto.
Dopo, Derrida mostra come l’amico non debba essere solo buono in sé, ma debba essere buono per chi gli è amico. Diceva Aristotele: “Amici miei, se volete avere amici, non abbiatene troppi”. Aristotele concede che è possibile amare più di un amico, ma non troppo: è vietato non il numero, ma il numeroso, la folla.
La vera amicizia si conquista attraverso la resistenza di una virtù. Ci sono diverse forme di amicizia derivate dall’amicizia prima (tra i bambini, gli animali o i malvagi), ma che non implicano la virtù.
Per pensare l’amicizia a cuore aperto, bisogna pensare il forse, essere capaci di dirlo e di farne, di questo dire, un evento. Un forse apre e precede per sempre il domandare, sospende anticipatamente per rendere possibili tutti gli ordini determinati che dipendono dal domandare.
Questo domandare è costituito dalla telepoiesi, che fa venire o lascia venire gli arrivanti e, ritirandosi, produce un evento, sprofondando nella penombra di un’amicizia che ancora non è. Ritornano i riferimenti alla radura che si apre nell’autenticità proposti da Heidegger.
In seguito, Derrida riflette su altri concetti importanti. L’amicizia si mantiene con il silenzio, in quanto la protezione di (una) riservatezza assicura la verità dell’amicizia. Inoltre, non si deve parlare dei propri amici: altrimenti le parole vi fanno perdere il sentimento dell’amicizia (nel parlare dei propri amici, per meglio dire, dev’esserci il sottinteso di un silenzio).
Ci spiega Nietzsche, accuratamente ripreso da Derrida, come la buona amicizia nasca dalla sproporzione: quando si stima o si rispetta l’altro più di sé stessi e ciò non implica l’amare l’amico più di se stessi.
Poi, riflettendo sulle parole di Carl Schmitt, si ragiona sull’idea di nemico. Il concetto di nemico implica un insieme di uomini che combatte in base ad una possibilità reale, non è il concorrente o l’avversario in generale.
Sono interessanti le analisi presentate sul binomio amico/nemico: si può essere ostili verso un proprio amico ed è possibile amare (in privato) il proprio nemico.
Il dubbio non deve scomparire riguardo al sapere cosa significa amicizia o ostilità, ma riguarda il sapere chi è l’amico e chi è il nemico (non in un sapere teorico, ma con l’identificazione pratica).
Dopo, si riflette sulla definizione di nemico data da Hegel: il nemico è la differenza etica, un estraneo da negare nella sua totalità vivente.
Non ci si può interrogare sul nemico senza riconoscerlo.
Viene preso in considerazione il pensiero di Montaigne, che definisce l’amicizia “la convenienza delle volontà”. L’amicizia pura è un dono senza dono, che consegue all’indivisione dell’anima, sottolinea ancora Montaigne. L’amicizia tra uomo e donna, in questo orizzonte di senso, non può essere sovrana e capace di indivisione.
Montaigne distingue l’amicizia “signora e sovrana” non solo dalle altre amicizie ordinarie, ma persino dalle più perfette nel loro genere. Quest’amicizia in senso primo è riservata all’uomo perché implica quella facoltà di decisione o di scelta riflessa che non deve appartenere né all’animale né a Dio.
La comunità tra uomo e donna è un’amicizia politica: ciò non toglie che può esserci un’amicizia di virtù tra coniugi, in certi casi.
L’amicizia politica si divide, secondo le riflessioni esposte, in legale ed etica. Si definisce legale un’amicizia che presuppone una forma di contratto tra le parti; un’amicizia si dice etica, invece, se c’è una fiducia senza contratto.
L’indivisibilità degli amici porta con sé a un tempo il finito e l’infinito.
Più avanti nel discorso di Derrida, si sostiene che l’amicizia vera vada intesa come un principio cui bisognerebbe tendere benché non lo si attinga mai. Nell’amore, come nell’amicizia, c’è una forte asimmetria (legame con il concetto di dono che abbiamo già presentato).
Dopo, si riflette sulla natura del nome. La portata del nome è questione complessa: il nome, infatti, può sopravvivere al suo portatore e aprire, sin dalla prima nominazione, quello spazio dell’epitaffio riconosciuto come il luogo dei grandi discorsi sull’amicizia.
Sostiene Schmitt che i concetti di amico e nemico vadano presi nel loro significato concreto, esistenziale, non come metafore o simboli.
I due sentimenti che compongono l’amicizia (amore e rispetto) rendono l’uomo degno di essere felice. L’amicizia morale kantiana (data dal rispetto) è l’amicizia etica di Aristotele.
L’amicizia secondo Kant non è dolce, prevede la sofferenza, il sacrificio e il dispendio perché è qualcosa di autentico, che bisogna conquistare.
C’è un segreto nell’amicizia, secondo molti autori: i due amici dovrebbero condividere i loro “giudizi segreti”: sottolinea Kant come un amico meritevole di un tale segreto è tanto improbabile quanto un cigno nero.
Per l’amicizia, ci vuole rispetto reciproco, da entrambe le parti.
Viene ripreso lo Zarathustra di Nietzsche, secondo cui l’amicizia è affare del remoto, di avvenire.
L’amico fa dono: un dono senza ritorno e senza salario.
Si riprende il vangelo di Matteo per esprimere le parole di Gesù per cui vanno amati i propri nemici (“se infatti ami chi ti ama, dove starebbe il tuo merito?”).
Aristotele tenta di collocare l’amicizia al di sopra del diritto e della politica.
Derrida sostiene che l’amore è al-di-sopra dell’amicizia perché è un rapporto sotto/sopra, di inferiorità e superiorità, di schiavitù e tirannia.
Il filosofo sottolinea, con enfasi, come l’amicizia abbia un prezzo infinito.