Amore e Natura, Tiziano e il tempo che passa
(ANSA) – ROMA, 13 GIU – Girata di schiena, lo sguardo languido che sembra quasi voler incrociare quello di chi la osserva, la giovanissima ninfa di Tiziano riempie la sala e affascina con la pelle diafana e le forme opulente del suo corpo nudo. Il racconto allude a una scena d’amore, accanto a lei il giovane pastore la guarda e concentra le mani su un esile flauto. Eppure, ancora più dell’amore e della passione che potrebbe a momenti scoppiare tra i due, è il tempo della vita con il suo ineluttabile ciclo di stagioni che sembra fare da padrone in questa scena. Con la morte sempre lì a un passo, pronta a mordere le carni come il caprone sullo sfondo a strappare l’ultimo ramo ancora verde da un albero ormai secco. E tutto intorno una natura buia e spettrale, un rincorrersi di toni scuri che pare velare di tristezza anche gli occhi sognanti di lei.
Parte da uno scambio tra musei, con l’arrivo a Roma di “Ninfa e pastore”, splendida opera dell’estrema maturità di Tiziano prestata dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, la piccola, densa mostra che si apre dal 14 giugno al 18 settembre alla Galleria Borghese di Roma. Con quattro grandi tele poste a dialogo tra loro nella sala dove già prima erano esposti i dipinti di scuola veneta e di Tiziano in collezione al museo romano. “Per noi una mostra dossier”, spiega la curatrice Maria Giovanna Sarti, “una piccola rassegna che ci ha permesso di mettere in dialogo le opere intorno ad alcuni temi sempre presenti nella produzione del pittore, quasi un filo rosso che dagli esordi lo accompagna fino agli estremi della maturità”. Un’esposizione, racconta, che è stata anche l’occasione per avviare nuove indagini diagnostiche e studi critici che presto verranno pubblicati.
Al primo piano della barocca residenza che fu del cardinale Scipione Borghese, il focus di riflessione parte dunque da quattro grandi tele: accanto alla “Ninfa e Pastore” appena arrivata da Vienna, “quasi un testamento tematico e stilistico” del grande Tiziano morto novantenne solo un anno dopo averla completata, campeggiano altre due altre enormi tele che le fanno da contraltare. Da un lato c’è “Amor Sacro e Amor Profano”, severa allegoria dell’amore matrimoniale con le due Veneri una nuda l’altra castamente vestita, e dall’altro una “Venere che benda Amore”, a cui si aggiunge, sulla parete direttamente di fronte alla Ninfa, una copia secentesca de “Le tre età dell’uomo”, altro capolavoro del Vecellio il cui originale si conserva a Edimburgo.
I temi sono ovunque gli stessi, indica la curatrice, l’amore nelle sue diverse forme e la natura intesa come paesaggio significante e luogo dell’agire umano, entrambi strettamente legati al tempo che scorre, al ciclo inesorabile della vita. Cambiano i colori e le atmosfere però, il modo di intenderli e di rappresentarli, dovuto forse anche alle diverse committenze del grande pittore e della sua ricca bottega. E se nella limpida maestosità de l'”Amor sacro e l’Amor profano” sembra quasi di ritrovare l’eco della storia tristissima e crudele delle nozze che doveva magnificare (quelle tra Niccolò Aurelio e Laura Baragotto, arrivate dopo che lui aveva in qualche modo partecipato alla condanna morte del padre e del marito di lei) e si apre una finestra sulla Venezia del ‘500, nella “Venere che benda amore”, tarda e complessa allegoria, si afferma l’idea del sentimento coniugale come giusto equilibrio tra la passione e il suo contenimento affidato ad una Venere regina, bionda, ingioiellata e bellissima, che benda risoluta gli occhi di un amorino. Mentre sulla parete direttamente opposta a quella della Ninfa e il Pastore, “Le tre età dell’uomo”- che Sassoferrato copiò nel Seicento da un originale di Tiziano – fa da perfetto pendant offrendo la stessa riflessione, fatta però in un altro momento della vita, sull’amore e sul tempo che scorre e che tutto divora. Spunti, diversità, rimandi. Una riflessione alla quale partecipano anche altre opere della collezione del museo, tra cui l’Adamo e la Eva di Marco Basaiti, altri due Tiziano, il Cristo flagellato e il San Domenico, oltre a un dipinto ritenuto una tarda derivazione da un modello tizianesco perduto (Venere, Amore e un satiro). E che nella natura così lontana dall’Arcadia della “Ninfa e Pastore” diventa pensiero malinconico sul tempo che incalza e l’inutilità dell’esistenza.