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Alta tensione sul gas russo, l’Eni apre un conto in rubli

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Due conti presso Gazprombank. Il primo in euro, il secondo in rubli, come richiesto da Mosca. Dopo giorni di consultazioni e di tensioni sottotraccia con Bruxelles, l’Eni annuncia l’avvio di quella procedura per pagare il gas russo che anche altre aziende europee – forse con maggior discrezione – stanno parallelamente adottando. La mossa del cane a sei zampe, tuttavia, rende plastico lo scontro con l’Ue. Da un lato c’è la Commissione, secondo la quale pagare in rubli e aprire un conto in moneta russa è una violazione delle sanzioni. Dall’altra ci sono le (tante) società europee che, come Eni, affermano di agire nel rispetto del regolamento comunitario visto che, pur aprendo il secondo conto in rubli, pagheranno il gas di Mosca comunque in euro. Poche ore prima dell’annuncio di Eni, interpellato ancora una volta sulla complicata questione di come pagare il gas russo senza violare le sanzioni, il portavoce della Commissione Eric Mamer sottolineava che versare rubli a Mosca o aprire un secondo conto in rubli – come richiesto dal decreto emanato dal Cremlino il 31 marzo scorso – va “oltre le indicazioni date agli Stati membri”.

Certo, non spetta all’esecutivo europeo ma a ciascuna capitale vigilare sull’applicazione delle sanzioni. Ma “le sanzioni hanno un obbligo legale e in caso contrario la Commissione può aprire la procedura d’infrazione”, precisava Mamer. Per molte aziende europee il dado però è già tratto. Eni, con la scadenza della fattura di maggio in arrivo il 20, ha annunciato l’apertura dei due conti ‘K’ chiarendo “che l’adempimento degli obblighi contrattuali” con Gazprom “si intende completato con il trasferimento in euro” presso la banca del colosso russo. E la sua non è stata certo una mossa improvvisa. “La decisione – ha sottolineato il gruppo – è stata condivisa con le istituzioni italiane”. Del resto, il cane a sei zampe non ha fatto altro che muoversi in quella “zona grigia” che, da Washington, lo stesso premier Mario Draghi aveva rilevato sul tema. Tanto che le linee guide emanate dall’Ue per le aziende a fine aprile sono state considerate, da Roma e altri capitali, insufficienti. La Commissione, tuttavia, ha deciso di non elaborare un nuovo vademecum ma di aggiornare, con una nota interpretativa, quello esistente.

E secondo le indicazioni di Bruxelles il gas russo va pagato nella divisa indicata dai contratti con Gazprom, ovvero euro o dollari. A questo proposito le aziende sono chiamate a fare una dichiarazione pubblica in cui affermano che gli oneri contrattuali sono rispettati con il pagamento in euro o dollari. Nella nota interpretativa, inoltre, non è specificato nero su bianco se aprire un secondo conto in rubli presso Gazprombank violi le sanzioni. E ciò, a diverse aziende e cancellerie europee, non è sfuggito. C’è da dire che lo scorso 2 maggio, in una lettera ai clienti, Gazprom aveva corretto il tiro del Cremlino assicurando che nella conversione dagli euro ai rubli richiesta dal decreto, la Banca Centrale russa, soggetta alle sanzioni Ue, non ci sarebbe neanche entrata. In tanti hanno colto al volo l’offerta di compromesso. “La nostra decisione rispetta il quadro sanzionatorio internazionale”, ha precisato Eni. Alla querelle ci sono diverse appendici. La prima è che, per l’apertura di una procedura d’infrazione, ammesso che sia possibile giuridicamente, ci vogliono mesi o anni. La seconda sta nelle parole del ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner: senza gas l’industria di Paesi come la Germania si ferma. E’ un rischio che a Parigi, Roma, Vienna o Budapest hanno ben presente e hanno fatto più volte presente a Bruxelles, innescando l’ira dei falchi anti-russi, Polonia su tutti. Lo scontro rischia di allungare l’impasse sull’embargo al petrolio che l’Ungheria vuole portare al tavolo del vertice del 30 e 31 maggio. Sarà un summit in salita per i leader Ue chiamati a salvaguardare quell’unità che, di fronte alla carestia energetica, rischia di squagliarsi. Con un’idea, che, da qualche giorno, circola tra i corridoi di Bruxelles: “Con la Russia in difficoltà militare, forse, l’urgenza delle sanzioni non è neanche più così necessaria”.



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